“Il
Vuoto in sé può essere concepito come un ‘Campo di campi’ o, più
poeticamente, come un mare di potenzialità. Esso non contiene particelle
e tuttavia tutte le particelle sorgono come eccitazioni […] al suo
interno. […] Il vuoto è il substrato di tutto ciò che è”. (Danah Zohar, “L’Io ritrovato”, Sperlink & Kupfer, Milano 1990, p.263)
Il
Vuoto è ben lungi dall’essere vuoto. Al contrario, esso contiene un
numero illimitato di particelle che vengono generate e scompaiono in un
processo senza fine. In questo aspetto della fisica moderna c’è dunque
la più stretta corrispondenza con il Vuoto del misticismo orientale.
Analogamente
al “vuoto” dei mistici orientali, il “vuoto fisico” – come è chiamato
nella teoria dei campi – non è uno stato di semplice non-essere, ma
contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo delle particelle.
Queste
forme, a loro volta, non sono entità fisiche indipendenti, ma soltanto
manifestazioni transitorie del Vuoto soggiacente ad esse. Come dice il
sūtra, “la forma è vuoto, e il vuoto in realtà è forma”. (Fritjof Capra –
Il tao della fisica – Adelphi Edizioni, p. 258) ...
Il Campo Quantistico e il “Vuoto” nella Fisica Quantistica
“Gli
uomini hanno paura di abbandonare le loro menti, perché temono di
precipitare nel vuoto senza potersi arrestare. Non sanno che il vuoto
non è veramente vuoto, perché è il regno della Via autentica”. (Huang-po)
Il
campo quantistico è un campo che può assumere la forma di quanti, o
particelle. Il campo quantistico è un concetto completamente nuovo che è
stato esteso ed applicato alla descrizione di tutte le particelle
subatomiche e delle loro interazioni, facendo corrispondere a ciascun
tipo di particella un diverso tipo di campo.
In
queste “teorie quantistiche dei campi”, il contrasto della teoria
classica tra le particelle solide e lo spazio circostante è
completamente superato. Il campo quantistico è visto come l’entità
fisica fondamentale: un mezzo continuo presente ovunque nello spazio. Le
particelle sono soltanto condensazioni locali del campo, concentrazioni
di energia che vanno e vengono e di conseguenza perdono il loro
carattere individuale e si dissolvono nel campo soggiacente ad esse.
Come
dice Albert Einstein: “Noi possiamo perciò considerare la materia come
costituita dalle regioni dello spazio nelle quali il campo è
estremamente intenso… In questo nuovo tipo di fisica non c’è luogo
insieme per campo e materia poiché il campo è la sola realtà.“
La
concezione delle cose e dei fenomeni fisici come manifestazioni
effimere di una entità fondamentale soggiacente, non è solo un elemento
di fondo della teoria dei campi, ma anche un elemento basilare della
concezione orientale del mondo. Come Einstein, i mistici orientali
considerano questa entità soggiacente come la sola realtà: tutte le sue
manifestazioni fenomeniche sono viste come transitorie e illusorie.
Questa
realtà del mistico orientale non può essere identificata con il campo
quantistico dei fisici, poiché essa è vista come l’essenza di tutti i
fenomeni di questo mondo e, di conseguenza, è al di là di tutti i
concetti e di tutte le idee. Il campo quantistico, viceversa, è un
concetto ben definito che spiega solo alcuni dei fenomeni fisici.
Ciononostante,
l’intuizione che sta dietro l’interpretazione che i fisici danno del
mondo subatomico, in termini di campo quantistico, ha una stretta
analogia con quella del mistico orientale, che interpreta la propria
esperienza del mondo, sulla base di una realtà ultima fondamentale.
Il
Brahman degli Indù, il Dharmakaya dei Buddhisti e il Tao dei Taoisti
possono essere visti, forse, come il campo unificato fondamentale da cui
nascono, non solo i fenomeni studiati in fisica, ma anche tutti gli
altri fenomeni.
Nella
concezione orientale, la realtà soggiacente a tutti i fenomeni
trascende tutte le forme e sfugge a tutte le descrizioni e
specificazioni. Di essa, perciò, si dice spesso che è senza forme, vacua
e vuota. Ma questa vacuità non dev’essere presa per semplice
non-essere. Essa è, al contrario, l’essenza di tutte le forme e la
sorgente di tutta la vita.
I
Buddhisti esprimono la stessa idea quando essi chiamano la realtà
ultima Sunyata – “vacuità” o “vuoto” – e affermano che è un “vuoto vivo” che dà origine a tutte le forme del mondo fenomenico.
I
Taoisti attribuiscono un’analoga creatività, immensa e incessante, al
Tao, e anch’essi lo indicano come vuoto. “Il Tao dei cieli è vuoto e
senza forme”, dice il Kuan-Tzu, e Lao-Tzu usa diverse metafore per
illustrare questa vacuità. Egli spesso paragona il Tao a una valle
profonda, oppure a un vaso eternamente vuoto e che quindi ha la
possibilità di contenere un’infinità di cose.
I
saggi orientali fanno capire che essi non intendono la normale vacuità
ma, al contrario, intendono un vuoto che ha un potenziale creativo
infinito.
Dunque,
il vuoto dei mistici orientali è certamente paragonabile al campo
quantistico della fisica subatomica. Nella teoria dei campi, il campo è
visto come la base di tutte le particelle e delle loro interazioni
reciproche.
“Il
campo esiste sempre e dappertutto, non può mai essere eliminato. Esso è
il veicolo di tutti i fenomeni materiali. È il ‘vuoto’ dal quale il
protone crea i mesoni π. L’esistere e il dissolversi delle particelle
sono semplicemente forme di moto del campo” (W.Thirring, op. cit., p.159)
Una
madre provata dal parto riceve per la prima volta il suo bambino tra le
braccia. Lo avvolge come una coperta, sorride, piange e d’istinto posa
sulla sua testolina un bacio delicato come un battito di ciglia per salutare quella vita che ha custodito nel suo ventre per tanti mesi.
Due innamorati si danno il primo
appuntamento. Non si sono ancora dichiarati. Le parole scorrono senza
che nessuno dei due ci badi più di tanto; poi, ad un tratto, le mani si
sfiorano. Gli sguardi diventano di colpo più intensi e un curioso
magnetismo sembra rapirli. Il mondo scompare mentre si scambiano il primo bacio.
Un uomo tiene la mano di sua madre,
sdraiata sul suo letto d’ospedale. Sanno entrambi che il tempo scorre
troppo velocemente. Lei chiude gli occhi e si lascia andare. Lui le
stringe forte la mano mentre rimanda indietro le lacrime e depone sulla
sua fronte l’ultimo bacio.
Il bacio, il più bello e profondo gesto d’amore, sembra scandire la nostra intera esistenza imprimendoci nel cuore i momenti più importanti.
Le curiose origini del bacio
Che sia il primo bacio ricevuto dai
nostri genitori alla nostra nascita o l’ultimo che riceveremo dai nostri
cari il giorno del nostro trapasso, il bacio ci accompagna come una piccola parentesi di dolcezza e affetto lungo il nostro cammino. Ormai lo viviamo come un atto quasi istintivo ma non è comune a tutte le culture; e le sue origini, anche se ancora incerte, non mancano di incuriosire gli scienziati.
In effetti, molti studiosi tra i
quali spiccano etnologi, antropologi e psicanalisti, hanno tentato di
comprendere il significato del bacio al livello evolutivo. Alcune teorie rimandano alla nutrizione e al bacio come gesto derivante dalla prima forma di piacere provata in tenera età, legata al cibo: il bambino che succhia il latte dal seno materno, il genitore che pre-mastica il cibo e imbocca il suo cucciolo affamato.
Secondo alcuni studiosi tra i quali Sheril kirshenbaum, autrice del libro The science of kissing, il bacio deriverebbe dall’istinto di annusare l’altro, entrando in questo modo in una
dimensione comunicativa più profonda che permette di determinare lo
stato di salute dell’altro ed includerlo nel proprio spazio personale.
Alcuni antropologi fanno invece riferimento al concetto di socializzazione: il bacio diventa così un assaggio metaforico dell’altro a scopo evolutivo, che permetterebbe uno scambio di informazioni al livello immunologico, o genetico, attraverso il riassorbimento dei geni.
Scambiarsi l’anima in un bacio
In diverse parti del mondo, lo scambio del respiro, il cosiddetto “bacio col naso”, è una forma di comunione profonda ed intima che rappresenta la fusione delle anime che va ben al di là dell’unione amorosa ma si estende all’altro come destinatario del proprio sentimento: mentre si respira l’altro, avviene un’unione del soffio vitale, dello pneuma.
Il bacio è quindi intimamente legato alla vita che circola da un essere all’altro.
Nel bacio avviene un’unione che parte dal cuore e poi risale verso
l’alto per sbocciare sulle labbra; lì avviene lo scambio del respiro,
del soffio vitale. Lo pneuma è il concetto col quale alcuni filosofi presocratici della scuola di Mileto descrivevano l’anima, l’archè (ἀρχή), la forza primigenia che domina il mondo, da cui tutto proviene e a cui tutto tornerà:
«Come l’anima nostra, che è aria, ci tiene insieme, così il soffio e l’aria abbracciano tutto il mondo.»
(Anassimene)
Lo pneuma è il
primo respiro del neonato che lo anima ed è l’ultimo sospiro che lascia
il morente. In molti racconti mitologici legati alla nascita dell’uomo
si menziona questo soffio vitale; pure nei geroglifici vi è la curiosa
tendenza dei Neteru (divinità egizie) a porre di fronte alle narici l’ankh, la croce di vita, come ad identificare nell’aria l’origine della vita che anima il corpo.
Se il soffio è anima, allora porta la vita e il bacio diventa salvifico, in grado di strappare l’amato/a dalle grinfie della morte come narrano molti racconti: “il bacio del vero amore” non si basa più soltanto su un’idea romantica, bensì su un concetto metafisico di cui parlavano gli antichi saggi.
Nel bacio vi è quindi un dono profondamente sacro: il soffio che si scambia, che si offre, che si dà all’essere amato è in grado di salvare, curare, proteggere, vivificare, rianimare. In quel respiro d’amore vi è un frammento di vita che scivola dolcemente sulle labbra e arriva fino al cuore per renderlo testimone dell’unione di due anime.
Il bacio famelico che toglie il respiro
Se il bacio è ritenuto un gesto d’affetto non mancano tuttavia i racconti di baci velenosi tra i quali il più conosciuto è forse quello narrato dagli evangelisti che videro nel bacio di Giuda il segno della condanna a morte di Gesù, dato, secondo la storia riportata, per la brama di denaro.
Questo tipo di bacio mostra come un tale atto privato del suo significato originario può portare alla distruzione: quando è mosso non più dall’amore ma dalla tentazione, non vi è più scambio ma possesso. Simbolicamente parlando, la brama prende il posto dell’amore e consuma invece di nutrire. L’equilibrio tra il dare e ricevere si rompe in favore di un prendere incessantemente fino a togliere l’ultimo respiro.
Gli Empatici sono in genere conosciuti come i Guaritori del mondo.
Sono le persone i cui sensi sono intensificati e amplificati,
sono degli individui che non solo vedono e sentono le diverse energie
del mondo, ma che in realtà le sperimentano su loro stessi.
Coloro che non sono empatici, potrebbero pensare che questa capacità di sentire ciò che gli altri provano sia un dono, ma se
si riesce a convincere un empatico a parlarci del “suo dono”, potrebbe
confidarci che non è sempre un cielo stellato. Anche se è consapevole di
avere una qualità importante, potrebbe confessarti che è un peso, molte volte quasi insostenibile.
Molte persone si affidano a loro per avere supporto e comprensione. Gli empatici, infatti, conquistano quasi sempre la fiducia degli altri, perché fanno sì che le persone si sentano al sicuro. E mentre l’empatico è in grado di gestire le emozioni degli altri, allo stesso tempo le sperimenta su di sè e tutto questo, può portare a stress e crolli emotivi.
Il lato oscuro di un essere empatico si presenta sotto forma di due
voci contrastanti, che gli parlano quasi costantemente dentro la sua
testa. Egli può costantemente sentire sia il bene che il male,
il negativo e il positivo, al punto di esserne sopraffatto, nel caso in
cui non sia in equilibrio e ben schermato da ciò che attira.
Gli empatici, quindi, sono più sensibili alle energie negative della vita. La loro intensa capacità di sentire non può allontanarsi dai mali profondi che esistono nel mondo.
La loro profonda comprensione di quello che esiste e opera nel mondo, è
sufficiente per confonderli e rattristarli. Per questo molto spesso,
tendono ad essere malinconici; l’emozione che li domina, infatti, è la
tristezza.
Il lato oscuro di un individuo empatico, è quindi quello di
essere costantemente esausto ed affaticato dalle energie che vengono
assorbite. Nonostante ciò, è capace di osservare in silenzio, riconoscere e sentire.
Gli empatici vogliono essere amati così come tutte le altre persone, ed accettati per quello che sono. Ma, è la loro generosità e gentilezza che li porta spesso, ad essere sfruttati da parte di coloro che vogliono solo prendere e mai dare. Gli empatici sono “donatori” e “ricettori”, essi sono pronti a mostrare gentilezza a chi ne ha più bisogno in ogni momento.
Il lato oscuro degli empatici comprende anche il fatto di mettersi in secondo piano per il bene degli altri.
Un abbandono che egli costruisce nel corso degli anni, fino ad arrivare
alla conseguente necessità di andare alla ricerca della propria anima,
un bisogno che si presenta sovente nel momento in cui ci si sente
completamente persi. Per questo motivo, la persona empatica,
tiene spesso una piccola parte di se stessa al riparo dal resto del
mondo, mantenendo una sorta di barriera difensiva per necessità.
Il lato oscuro di essere un empatico è in sintesi la guerra
che egli vive da sempre dentro di sé, la guerra che intraprende contro
la tristezza e il buio, emozioni negative che cercano di trascinarlo
all’auto-distruzione. L’unico modo per combattere tutto questo è
saper distinguere tra emozioni autentiche ed energie emotive false, che
lo invadono dall’esterno.
Gli empatici hanno bisogno di persone che possano comprendere
chi sono e cosa vivono. Essi devono essere in grado di abbassare il
muro che hanno costruito intorno a loro, ed imparare ad esprimere i
sentimenti che provano,in modo che questa preziosa
dote possa fare del bene anche a loro stessi. In caso contrario, gli
empatici sono destinati a combattere una guerra dentro loro stessi, che
non finirà mai.
Regna
in un luogo chiamato Shambala o Agharti, mantiene l'equilibrio tra il
Bene e il Male sulla Terra, e mette gli esseri umani di fronte a se
stessi
La figura del Re del Mondo, chiamata anche con altri nomi, si trova in molte tradizioni religiose e spirituali, dall’antichità ai giorni nostri. Egli sarebbe il sovrano di Shambala o Shangri La o Agharti,
un luogo popolato da esseri molto evoluti che vivono in pace e armonia,
con un sistema di vita spirituale a cui anche gli esseri umani possono
arrivare. Il Re del Mondo ha la funzione di governare sul nostro mondo,
facendo sì che non prevalgano mai le forze del male assoluto, ma nemmeno
quelle del bene assoluto. E’ quindi il reggente delle sorti dell’umanità e mantiene l’equilibrio tra bene e male. Il suo compito è anche quello di mettere alla prova qualunque essere umano compia un percorso di evoluzione spirituale.
La crisi non è da allontanare ma da attraversare. E’ l’unico modo per sciogliere nodi, prendere decisioni, avviare cambiamenti.
E’ arrivato il momento di spogliarci da
tutti i pregiudizi legati alla crisi: non è una sfortuna, una disgrazia
fine a se stessa o un fallimento. Ma un’occasione di crescita, di
arricchimento, di conoscenza di sé.
La crisi può essere una vera
benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perché è proprio la
crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia, come il
giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le
scoperte e le grandi strategie. (Albert Einstein)
Attribuire colpe a se stessi o ad altri
per aver fatto nascere una crisi è solo un modo per fuggire dai
significati che ogni crisi porta con sé e che vuole portarci. Ciò che
siamo chiamati a fare dinnanzi al dolore, al disorientamento e alla
confusione è aprire finalmente i nostri occhi interiori. Per poterci scorgere l’occasione di cambiamento.
Non è facile destarci dalla nostra vita
di sempre e cambiare prospettiva e modo di pensiero, ma la crisi giunge
proprio per aiutarci in questo. Se riusciamo ad abbandonare scuse,
pregiudizi, paure e difese siamo in grado di scorgere la via indicata
dalla crisi stessa.
In una congiuntura negativa bisogna
affidarsi alla creatività: fare della crisi un’opportunità per
reinventarsi. Un’altra dote indispensabile è l’ubiquità: essere
flessibili, non vincolati a vecchi schemi e a un’immagine rigida della
propria persona. (Jacques Attali)
Nel dolore, nella frantumazione delle nostre certezze e nella confusione che ogni crisi porta con sé possiamo assistere a due tipi di risposte:
possiamo farci annientare dagli eventi oppure cavalcarli come un
surfista con le onde. Nel primo caso diventiamo servitori delle nostre
paure. Se invece decidiamo di sfruttare il maremoto che c’è dentro di noi emerge una forza interiore che non pensavamo di avere.
E’ una forza speciale che nasce solo nei momenti di forte crisi. E’ la nostra ricompensa al dolore che abbiamo scelto
di vivere in modo costruttivo e non distruttivo. E’ un’energia così
potente da renderci particolarmente vitali, svegli, determinati.
I momenti di crisi raddoppiano la
vitalità negli uomini. O forse, più in soldoni: gli uomini cominciano a
vivere appieno solo quando si trovano con le spalle al muro. (Paul Auster)
Affrontare la crisi in questo modo vuol dire risvegliare il proprio
intuito, avere fiducia nella vita, affidarsi alla creatività, credere
che tutto è il dettato di un maestro divino.
Si comprende così che la crisi porta
sempre con sé una ventata di aria nuova, invita a tagliare i rami ormai
secchi, conduce a lasciar andare ciò che non ha più senso che resti. E’
il passo fondamentale che precede ogni cambiamento.
Sappiamo che l’inverno precede la
primavera e che un bambino per poter iniziare a camminare dovrà
specializzarsi nella caduta, ma non abbiamo bene in mente che la crisi è
un momento indispensabile alla costruzione di un nuovo equilibro. Non è distruzione: è l’inizio di una nuova costruzione. Che
può avvenire solo grazie ad una forza primordiale e generatrice,
proprio come quella che sperimenta il neonato quando nasce: non sa a
cosa va incontro ma sente che deve seguire quel richiamo di vita e si
affida con tutto se stesso al suo intuito. La stessa forza che trova sua
madre nel farlo nascere: non potrebbe sopportare un dolore fisico così
grande in un momento di stasi.
La crisi ci risveglia, ci mette in moto, ci chiama a sé per mostrarci i nostri tesori interiori.
perché vittime innocenti
ed indifese cui è negato non solo il diritto alla libertà e
all’esistenza ma la stessa capacità di soffrire e di avere sentimenti;
perché vengono loro negati
i diritti naturali a non essere imprigionati, sfruttati e schiavizzati,
torturati come fossero oggetti senz’anima;
perchésono
esseri come noi di forma diversa; perché il dolore e la sofferenza sono
realtà universali; perché come noi amano la vita ed hanno paura della
morte;
perché non possiamo consentire sia fatto agli animali ciò che non vorremmo fosse fatto a noi umani;
perché l’indifferenza verso la sofferenza e l’angoscia degli animali rende l’uomo peggiore sul piano morale, civile e spirituale;
perché sono la stragrande maggioranza dei viventi;
perchésono
nostri compagni di viaggio: non si possono tutelare gli interessi di
alcuni componenti e sterminare il resto della famiglia;
perché un’ingiustizia non è più o meno grave a seconda della vittima;
perché l’evoluzione etica,
morale, civile e spirituale deve necessariamente ampliarsi a tutti i
viventi e includere masse sempre più vaste della famiglia dei viventi;
perché è giusto, doveroso; un imperativo morale difendere i più deboli;
perché non è lecito
interferire nella vita delle altre specie, come noi non vorremmo che
un’altra specie interferisse nella nostra vita;
perchégli
animali hanno contribuito col loro dolore, il loro sangue e la loro vita
al benessere dell’uomo e quindi l’uomo ha il dovere di tutelarli ed
essergli grato;
perché tutelando gli animali l’uomo tutela se stesso e l’ambiente naturale;
perché il rispetto per gli animali rende l’uomo migliore sul piano civile, morale e spirituale;
perché non possiamo
invocare la pace, la giustizia e la libertà se quotidianamente con le
nostre scelte egoistiche neghiamo la libertà e la vita agli animali;
perché se l’uomo fosse
educato alla valorizzazione del diverso e al rispetto del piccolo non
potrebbe che essere positivamente incline anche al rispetto e del suo
simile;
perché smettendo di
sfruttare gli animali e mangiare la loro carne l’uomo tutela se stesso
dalle malattie, dalla violenza anche tra gli esseri umani, dalla fame
nel mondo, dalla distruzione delle foreste, dall’inquinamento
dell’ambiente, dallo sperpero di risorse naturali;
perchéil
disprezzo della vita e del dolore dell’animale inclina l’uomo
all’insensibilità verso la condizione del prossimo e perché lo specismo
apre la strada al razzismo, al sessismo…
perché, a differenza dell’uomo, l’animale è sempre innocente;
perché se fossi nato animale vorrei essere salvato dalla violenza dell’uomo;
Il principio della indeterminazione afferma
sostanzialmente che non è possibile determinare la traiettoria di una
particella elementare come l'elettrone dal momento che non è possibile
conoscere simultaneamente a ogni istante la sua posizione e la sua
velocità.
La traiettoria di un elettrone può essere predetta solo con tecniche probabilistiche e non meccaniche.
L'altro termine fondamentale è la funzione d'onda rappresentata dell'equazione di Schrödinger considerata l'equazione fondamentale della meccanica quantistica.
La funzione d'onda può essere usata per calcolare la probabilità di trovare una particella in un determinato punto dello spazio ...
È noto che la fisica quantistica introduce una relazione tra osservatore e osservato assolutamente sconosciuta alla fisica classica.
L’oggetto
fondamentale in meccanica quantistica infatti, non è più la particella
newtoniana, pensata come un oggetto con proprietà oggettive e definite,
ma la funzione d’onda, che fornisce la probabilità di un evento.
Da qui deriva un irriducibile carattere di indeterminismo fissato dal famoso principio di Heisenberg ...
Non tutti fisici sono d’accordo con questa interpretazione probabilistica perché la funzione d'onda non può fornire una descrizione completa possibile della realtà nella quale troviamo delle caratteristiche ben definiti della materia.
Occorre quindi risolvere questo problema e reintrodurre il determinismo in qualche maniera, in modo che si adatti anche al mondo infinitamente piccolo.
Per questo motivo sono stati proposti delle teorie alternative alla meccanica quantistica.
Una di queste è stata formulata da de Broglie e si basa sull'assunzione dell'esistenza di un'onda reale (onda pilota) associata a ciascun corpuscolo.
Anche David Bohm basandosi sul concetto di "onda pilota" di Louis De Broglie ha riformulato completamente l'equazione di Schrödinger raggiungendo un parametro cruciale definito "potenziale quantico" con il quale riusciva a trasformare la meccanica quantistica da teoria probabilistica in teoria deterministica.
Usando le parole di Bohm, "I concetti quantici implicano che il mondo agisce come una unità indivisibile, in cui anche la natura intrinseca di ciascuna parte dipende in un certo grado dalla sua relazione con ciò che la circonda".
In tal modo l'elettrone non si esplica casualmente ma si muove sotto l'azione del potenziale quantico il quale portando informazione dall'ambiente globale e fornendo connessioni non-locali e istantanee tra sistemi quantistici, lo guida in una traiettoria ben precisa e potenzialmente determinabile.
Secondo la meccanica quantistica ogni sistema possiede una carica magnetica con caratteristiche opposte in punti differenti.
Una parte della molecola avrà una piccola carica magnetica positiva e l’altra parte una piccola carica magnetica negativa. Questa disposizione delle cariche forma il sistema bipolare.
La misura della forza bipolare, chiamata momento bipolare, dipende dalla forza delle cariche, la distanza fra loro e dalla loro disposizione.
La disposizione delle molecole nel sistema e il loro momento bipolare, dipende dalla forza magnetica in quella localizzazione specifica nel sistema. Lo stato magnetico della sovrapposizione corrisponde allo stato quantistico.
La base per capire la distribuzione della polarità in ogni sistema bipolare risiede nella struttura trinitaria del polo.
Secondo “il Modello Energetico Universale” ogni polo è costituito da sei vortici ognuno dei quali è chiamato "Quarcone". Ognuno di questi quarconi può essere positivo come il vortice del tornado o negativo come il vortice dell'acqua.
In ogni polo ci sono otto possibilità di combinazione fra i vortici che possono essere tutte e tre positivi, due positivi e uno negativo e così via.
In entrambi i poli esistono quindi 8x8=64 possibilità di combinazione. Ognuna di questa
combinazione viene presentata con sei segni ognuna delle quali può essere o positiva o negativa.
Queste 64 combinazioni sono considerate come il codice universale che dirige tutto l'universo.
Ogni combinazione viene considerata come uno stato quantico che dispone di una sua specifica frequenza energetica. Il gruppo di sei quarconi nel suo insieme ha uno stato energetico, un momento bipolare ed una vibrazione definita che corrisponde allo stato quantico.
Il Codice universale è applicabile a tutti i sistemi esistenti nel nostro mondo,
dal micro al macro, dalla fisica quantistica (64 stati quantici) alla
biologia (differenziazione cellulare), dalla genetica (codice genetico
composto di 64 codoni) alla filosofia (I Ching cinese con i suoi 64
esagrammi). (Per approfondire:Dal codice universale al codice umano - Dott. Nader Butto)
Secondo il mio parere, il Codice Universale aggiunge un parametro cruciale al "potenziale quantico" e trasforma la meccanica quantistica da teoria probabilistica in teoria deterministica.
Il potenziale quantico quindi determina lo stato quantico della particella la sua funzione e il suo comportamento. Nella meccanica quantistica, uno stato quantico rappresenta una possibile configurazione di una particella microscopica o di un atomo.
Secondo la meccanica ondulatoria, uno stato quantico è rappresentato da una particolare funzione complessa detta funzione d'onda, o potenziale quantico, e questa funzione riassume tutte le informazioni circa uno stato quantistico di una particella.
La disposizione dei 64 diversi stati quantici agiscono sul mondo materiale per apparire nella sua grande diversità. Questo sistema ci spiega chiaramente il motivo della differenziazione cellulare che avviene a livello embrionale. Infatti l'uovo fecondato comincia a moltiplicare e tutte le cellule dispongono lo stesso codice genetico.
Quando arriva alla fase chiamata morula, costituita da 64 cellule, comincia un processo di differenziazione cellulare in maniera tale che l'ordine implicito nello stato magnetico si manifesta come ordine esplicito a livello cellulare.
Lo stesso sistema è applicato all'uomo in maniera tale che ogni zona del corpo è sottoposta ad una dei 64 stati magnetici, ognuna di queste zone è bipolare di conseguenza dispone 64 diversi zone dentro le quale ci sono altri 64 per formare una sistema olografica frattali. Ogni persona quindi dispone di un momento bipolare particolare, con una frequenza specifica che corrisponde ad uno stato quantistico.
Questo è il codice del campo magnetico che dirige la struttura fisica del corpo e guida le sue funzione fisiologiche.
Il parallelismo fra materia e anti-materia, accettato dalla fisica moderna, ci permette di
comprendere più facilmente che l’anima non è altro che l’antimateria del corpo fisico, l’ordine implicito che dirige e controlla la struttura fisica del corpo e le sue funzioni fisiologiche.
Seguendo la legge della Trinità Universale, l’anima è divisa in tre parti: l’anima animale, l’anima umana e lo spirito guida. Capiamo allora la radice della diversità fra la medicina convenzionale e le discipline terapeutiche alternative e psicologiche.
Infatti ogni disciplina ha preso in considerazione una sola realtà dell’essenza umana.
Nader Butto
nato a Nazareth (Israele), si è laureato in medicina a Torino nel 1983,
si è specializzato in cardiologia in Israele. Dal 1995 ha seguito per
dieci mesi in Francia uno stage di cardiologia invasiva, in particolare
cardiologia angioplastica coronaria; nei due mesi successivi ha
frequentato a Milano il centro Columbus per completare la sua
preparazione nella ultrasuoni intracoronarica. Nel 1998 è stato a
Phoenix (Arizona, U.S.A.) per la specializzazione in angioplastica
carotidea. Attualmente lavora nel reparto di cardiologia al Centro
Medico Rabin a Petah Tikva (Israele) come cardiologo specialista in
angioplastica coronaria.
Attraverso
una lunga ricerca dell’anima umana ha sviluppato un suo personale
metodo, “Dynamic Energy” che integra medicina convenzionale con delle
discipline millenarie orientali basate sul modello energetico ed
aggiunge l’aspetto psicologico come radice delle alterazioni patologiche
fisiche. Su questo argomento tiene conferenze e seminari in Spagna,
Germania, Italia, Israele.
Ci
sono due forze motrici fondamentali: la paura e l’amore. Quando abbiamo
paura, ci ritraiamo indietro dalla vita. Quando siamo innamorati, ci
apriamo a tutto ciò che la vita ha da offrire con passione, entusiasmo, e
l’accettazione. (John Lennon)
La paura mette a tacere i nostri desideri, i nostri sogni, la voglia di realizzare progetti e di concretizzare idee. Cancella la nostra creatività facendola passare per non importante, non necessaria, superficiale.
Ecco perchè i sogni non si realizzano:
perchè abbiamo dato troppo spazio nella nostra vita alla paura. E invece
di metterci in ascolto del messaggio che è giunta a portarci abbiamo
dato ad essa le redini della nostra esistenza. Siamo divenuti suoi
servitori.
Così dinnanzi ad un possibile cambiamento spesso fuggiamo. Per una montagna di paure.
E rimaniamo immobili, sterili, ritratti dalla vita. Preferiamo rimanere
in qualcosa che già conosciamo invece di tuffarci nel nuovo che ci
attende.
La nostra paura del peggio è più forte del nostro desiderio del meglio. (Elio Vittorini)
I sogni richiedono coraggio, cambiamento, conoscenza interiore, consapevolezza.
La paura è priva di tutto ciò e ci obbliga a rinchiuderci a riccio
dinnanzi a qualsiasi movimento interiore o esteriore. A costruire mura
di difesa, a giudicare, a girarci dall’altra parte.
Se solo riuscissimo ad aprirci alle
nostre paure, a dialogarci, ad accoglierle nelle nostre giornate, a
dipingerle, a danzarci insieme e ad ascoltarle con la nostra anima
riusciremo a comprendere il messaggio che nascondono. La paura non è un
mostro da annientare, da far fuggire, da allontanare ma un messaggero
divino da guardare negli occhi. Ci fa vedere, secondo i suoi modi più o
meno spietati, la via da seguire.
La paura è l’emozione più difficile
da gestire. Il dolore si piange, la rabbia si urla, ma la paura si
aggrappa silenziosamente al cuore. (Gregory David Roberts)
La paura ha bisogno solo di attenzione. Quell’attenzione che facciamo fatica a far vivere in noi.
Cosa fare quando si ha paura?
Quando sentiamo di aver paura
(tralasciando la paura che sorge per un reale pericolo imminente), la
prima cosa da fare è di renderci consapevoli di questa condizione. Dirsi
“sto provando paura” è un piccolo passo verso la conoscenza di
se stessi. Con questa preziosa frase ci allontaniamo da questo stato
d’animo, non gli permettiamo di prendere le redini della nostra vita,
non ci facciamo trascinare nella disperazione.
Non è facile dare un nome a ciò che proviamo eppure è la via verso la cura di noi stessi.
Basta esercitarsi quotidianamente e pian piano ci renderemo conto che è
un modo per ritornare al centro della nostra interiorità, di rimanere
nel presente, di afferrare il comando della nostra vita.
Successivamente a questa presa di
consapevolezza possiamo instaurare un dialogo con la nostra paura,
chiederle (proprio come fosse uno spirito, un animale di potere, un
personaggio dell’antichità) il perché della sua presenza. Se poniamo
questa domanda poco prima di dormire possiamo anche ricevere una
risposta in sogno.
Non devo avere paura. La paura uccide
la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento
totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi
attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne
scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla.
Soltanto io ci sarò. (Dal film Dune)
Se la risposta proprio non riusciamo a sentirla possiamo mettere in atto la nostra creatività
e connettersi ad essa tramite un dipinto, la scrittura, la danza, un
canto. E’ un modo di collegarci alla parte più intuitiva di noi stessi.
Con pazienza, fiducia e attenta vigilanza ci arriveranno intuizioni,
idee, ricordi e pensieri in grado di farci intravedere la via da
percorrere.
Si può anche decidere di condividere le
proprie paure con altre persone ma in questo caso è doveroso scegliere
con cura i nostri confidenti.
Non guardarmi soltanto quando sogno. Quando sorrido. Quando apro finestre nel cielo e guardo cosa c’è oltre.
Guardami mentre inciampo e cado. Quando combatto e sbaglio. Guardami quando ho paura. Quando il buio sta per arrivare.
Allora sì, potrai dire chi sono.
(Fabrizio Caramagna)
La first lady statunitense Eleanor Roosevelt scrisse: “Fai almeno una volta al giorno una cosa che ti spaventi”, perché
la paura è nostra alleata nella conoscenza interiore, ci arricchisce,
ci mette alla prova, ci desta dalle nostre abitudini e dalla nostra
immobilità. Se decidiamo di considerarla come tale e non come un tiranno
da sottomettersi.
D’ora in poi cerchiamo di vedere la paura per quello che è: un
messaggero divino venuto a svegliarci e a mostrarci ricchezze immense
che siamo chiamati a conquistare con coraggio e determinazione. Lasciamo
andare il nostro ruolo di vittima: diveniamo eroi della nostra verità
interiore!
Mai nato...mai morto...ho solo visitato questo pianeta terra.
La morte è il trasferimento dell’anima da un corpo all’altro oppure, nel caso di un uomo che è totalmente consapevole, da un corpo all’intero universo. Il viaggio è grandioso ma non puoi conoscerlo dal di fuori. Dall’esterno puoi vedere solo dei sintomi, ma proprio questi hanno reso l’uomo pauroso.
Coloro che conoscono la morte dall’interno, hanno perso tutte le paure della morte.
Se comprendi, se vedi, se senti e fai esperienza di non essere separato dall’esistenza ma di essere un tutt’uno con essa, tutte le paure della morte scompariranno e non ci sarà nessuno a morire dentro di te, non c’è proprio nessuno ma è l’esistenza che vive attraverso te.
- Osho -
http://divinetools-raja.blogspot.it
La Via del Ritorno... a Casa
Un
novizio appena entrato in un monastero Zen, era tutto compreso del suo
nuovo destino e continuava a fare domande per seguire al meglio la
disciplina.
Giunse
anche dinanzi al maestro e gli chiese: "Sono appena entrato nel
monastero e vorrei giungere quanto prima alla liberazione. Cosa devo
fare?".
Il
maestro allora gli chiese se quel giorno aveva pranzato. "Sì", rispose
il novizio, attendendo una grande rivelazione. "Bene -fece il maestro-
allora lava la ciotola!".
***
Mia riflessione: Il
cammino per la liberazione non ha bisogno di gesti eclatanti, ma di
riempire i gesti quotidiani, anche quelli più semplici e umili, del loro
vero significato. Il
novizio si attendeva chissà quale rivelazione, mentre le regole da
seguire per raggiungere la liberazione sono veramente poche e semplici. C'è
anche chi attende continuamente i miracoli, ovvero fatti
soprannaturali, apparizioni, profezie, ecc. per credere al divino,
mentre non si accorge dei veri miracoli che continuamente avvengono
attorno a sè.
Il vero miracolo non è volare in aria o camminare sulle acque, ma camminare sulla terra! 😉
Il grande compito dello Zen è di farti uscire dalla prigione
della mente. Non è una filosofia intellettuale, anzi non è per nulla una
filosofia; e neppure una religione, perché non comprende né finzioni né bugie,
e nessun tipo di consolazione. È il ruggito di un leone. La cosa più
straordinaria che lo Zen abbia introdotto nel mondo è la libertà da se stessi.
Tu hai sentito parlare di altre libertà, ma la libertà da se stessi è la
libertà suprema: non-essere, e permettere che l’esistenza si esprima in tutta
la sua spontaneità e il suo splendore. Ma è l’esistenza, …non sei tu e non sono
io. È la vita stessa che danza, non sei tu e non sono io. Quando vai oltre la
mente, persino l’idea di un ‘Io’ scompare. Quando anche l’Io scompare e inizi a
sentirti profondamente coinvolto nell’esistenza, senza alcun limite, solo
allora lo Zen è arrivato a fiorire dentro di te.
Quello è lo stato, lo spazio,
della consapevolezza risvegliata. Ma al centro non ha nessun "Io", né
un "atman", né un sé. Per chiarirtelo meglio… Socrate dice: “Conosci
te stesso”. Gautama il Buddha dice: “Conosci; conosci soltanto, e non troverai
alcun te stesso”. Vai in profondità nella tua consapevolezza, e più vai in
profondità, più il tuo sé inizia a sciogliersi.
Questa è forse la ragione per
cui nessuna religione, tranne lo Zen, ha praticato la meditazione, perché la
meditazione distrugge dio, distrugge l’ego, distrugge il sé. Ti lascia in un
vuoto assoluto. È solo la mente che ti fa temere il vuoto assoluto… Puoi
sperimentare tutto questo solo lasciandoti cadere sempre più in profondità,
oltre la mente, fino ad arrivare alla parte più profonda del tuo essere, fino
ad arrivare proprio alla fonte da dove la tua vita ha iniziato a fluire.
Improvvisamente comprendi che l’immagine che avevi di te stesso era arbitraria:
tu non hai forma, sei infinito. Vivevi in una gabbia, ma appena comprendi che
le tue risorse sono infinite, di colpo la gabbia svanisce e puoi spiegare le
ali nel cielo azzurro e scomparire. Questa è la libertà da se stessi. Ma non ci
si può arrivare usando l’intelletto, è possibile solo attraverso la
meditazione. Lo Zen è un altro nome per meditazione…
Quando conosci la
meditazione, non devi essere il seguace di nessuno. I tuoi occhi sono aperti, e
davanti a te puoi vedere la luce che ti mostra il cammino, e tutto ciò che è
giusto e tutto ciò che è buono accade senza dover fare alcuna scelta. Non sei
tu a deciderlo… è solo che non puoi fare altrimenti.
Ho
sempre avuto interesse per il Tiro con l’Arco Zen. Avendo un trascorso
di arti marziali tradizionali, ho sempre pensato che ci potessero essere
delle affinità e ho letto molti articoli relativi alla sua tradizione,
ma non avevo mai avuto l’opportunità di prendere qualche lezione, fino a
un paio di anni fa, quando all’Osho International Meditation Resort di
Pune, seppi che si offrivano lezioni di Arco Zen in Buddha Grove.
Non vedevo l’ora di partecipare!L’insegnante e il metodo
La nostra insegnante, Bodhihanna, era un’anziana donna tedesca. Il suo
modo di insegnare è calmo, metodico e severo. Non esita un attimo a
dirti senza peli sulla lingua se stai facendo qualcosa di sbagliato.
Ho subito pensato che il suo metodo di insegnamento potesse ispirarsi a
quello dei sensei giapponesi da cui ha imparato nei templi in Giappone.
Tuttavia in un secondo tempo ho scoperto che non era così. Mi ha detto
lei stessa, infatti, che lo stile didattico nei templi in Giappone è
molto rigoroso e per niente aperto alla discussione. Il sensei ti mostra
una sola volta come fare – spesso senza alcuna spiegazione verbale –
dopo di che si aspetta che impari, esercitandoti finché non ci riesci.
Puoi mostrare al sensei ciò che sai fare e se non va bene, lui se ne va
semplicemente, il che sta a indicare che devi continuare a esercitarti.
Porre delle domande al sensei non è concesso: da te ci si aspetta
semplicemente che impari dalla sua dimostrazione.
Bodhihanna mi ha anche accennato al fatto che i sensei sono un po’ più
severi con le donne che con gli uomini. Conoscendo qualcosa della
cultura giapponese, in cui una grossa parte della popolazione è ancora
abbastanza maschilista, la sua affermazione non mi sorprese. Lo fece
però quello che mi disse subito dopo. Una grande donna arciere
Nelle graduatorie del Tiro con l’Arco Zen di tutto il Giappone, la
posizione più alta, al momento della nostra chiacchierata, era detenuta
da una donna: e non solo una donna, ma dell’età di ben novantasei anni!
Non solo, nelle gare in Giappone, per guadagnarsi quell’onore e quel
titolo, aveva battuto un folto numero di virtuosi dell’arco, tutti
maschi. Quando ho iniziato a scrivere questo articolo, lo scorso
settembre, ho chiesto a Bodhihanna notizie più recenti della vecchia
signora e lei mi ha risposto con un’email: “Questa grande signora del
Tiro con l’Arco ora ha novantotto anni e pratica ancora. Per come la
vedo io l’età non conta e lei rappresenta una grande fonte di
ispirazione per me! In altre parole, vuol dire che sono ancora giovane e
questo mi fa sentire molto bene!”.Imparare i rudimenti
Ogni mattina, quando la lezione stava per iniziare, vedevo Bodhihanna e
i suoi allievi assistenti allestire i grandi specchi girevoli usati per
aiutare lo studente a controllare la propria “forma” e postura.
Si toglie la copertura al centro dei bersagli, che comunque sono
destinati solo agli studenti avanzati. I principianti si esercitano,
infatti, con un pezzo di legno che ha un elastico attaccato alle
estremità per fare pratica e imparare i rudimenti. Dopo aver praticato a
sufficienza si è promossi al vero arco!
I dettagli dell’insegnamento consistono in: come stare in piedi,
l’inizio, la fermata, il passo, il sollevamento, la posizione dei piedi e
delle spalle, il movimento e la posizione della testa, la mano
sull’arco, la posizione del gomito e infine la corretta respirazione. Il vero Arco Zen
Non vedevo l’ora di maneggiare un arco vero, ma non avevo la più
pallida idea nemmeno di come “incordarlo” correttamente. Poco male: c’è
una tecnica anche per quello. Diciamo solo che mi ci sono voluti alcuni
tentativi sotto lo sguardo vigile di Bodhihanna. Dopo aver incordato
l’arco, è arrivato il momento della corretta postura in piedi e
dell’impugnatura dell’arco nella posizione di inizio. Passo successivo:
muoversi. Seguendo le istruzioni di Bodhihanna alla lettera, mi sono
mosso mentre lei mi ricordava come impugnare l’arco prima di muovermi e
poi di come deve essere tenuto mentre ci si muove. Ho concluso il mio
movimento e mi ha ricordato di come l’arco deve essere posizionato
quando ci si ferma. Mantenere la consapevolezza di tutti questi
particolari è senz’altro una meditazione! O, come mi ha fatto notare lei
una volta mentre chiacchieravamo: “Quando pratichi ininterrottamente,
l’Arco Zen ti porta a un’altra sponda della consapevolezza”.Lo spirito del guerriero
Bodhihanna ha un modo preciso di insegnare – non si lascia distrarre
né mettere fretta da nessuno: comunque devi prima padroneggiare i
rudimenti che insegna! – che ritengo incarni lo spirito del guerriero
Zen.
A questo proposito Bodhihanna ha detto: “Un guerriero non è solo una
persona che va a combattere per sconfiggere i suoi avversari. Un
guerriero può non essere affatto ciò che si crede, e a dirti la verità, è
diverso dalla percezione che ha la maggior parte della gente. Un
guerriero, uomo o donna, è gentile e guarda dentro di sé per essere
vero. Quando questo accade e il guerriero è “uno” con la verità, i
movimenti provengono dal suo essere interiore piuttosto che dalle sue
azioni esterne. In altre parole, il guerriero non agisce dallo spazio
della mente, ma si muove in armonia con l’essenza, la verità, del suo
stesso essere, e pertanto rimane centrato nel momento presente. Quindi
la freccia lascia l’arco spinta dalla potenza della verità stessa. Il
guerriero ha sentimenti ed emozioni, ma non consente loro di annebbiare o
ostruire la sua vista del bersaglio. Questo è il gioco dello Zen, il
gioco della disciplina giocosa e della conoscenza di sé. Quando conosci
il tuo vero sé e sei in armonia con esso, raggiungi un’altra sponda
della consapevolezza. Lì conosci la libertà assoluta!”. Figlia della Germania nazista, Bodhihanna ricorda...
Un giorno, a pranzo, Bodhihanna mi ha parlato di cosa ha voluto dire
per lei crescere nella Germania nazista. Mi ha parlato della sua
famiglia e di come suo padre, che faceva il medico, non avesse la benché
minima simpatia per Hitler e i suoi malvagi squadroni delle SS.
Naturalmente questa avversione doveva rimanere segreta, perché ogni
genere di opposizione, a quel tempo, poteva sfociare facilmente
nell’uccisione dei dissidenti o, nel più roseo dei casi, nella
separazione dai familiari e il successivo trasferimento nei campi di
lavoro.
Un giorno a scuola, alcuni ufficiali arrivarono per informare le
studentesse che Hitler stava per dare avvio a un programma speciale che
richiedeva la collaborazione di ragazze tedesche che si riproducessero
con giovani tedeschi per accrescere e migliorare la razza ariana.
Laddove molte delle compagne di scuola erano entusiaste di poter dare il
loro contributo allo stato, la giovane Bodhihanna non fu minimamente
interessata. I futuri neonati sarebbero diventati proprietà del governo
nazista e sarebbero stati allevati ed educati secondo il volere dello
stato, senza alcun
contatto con i genitori biologici. Bodhihanna mi disse di essere rimasta estremamente disgustata da tutta quella faccenda!
Con l’intensificarsi del conflitto mondiale, Bodhihanna mi disse che
non sapeva mai se sarebbe vissuta fino al giorno successivo. Quando gli
aerei alleati bombardavano la sua città, quasi ogni notte per mesi e
mesi, non c’era modo di sapere in anticipo quale zona sarebbe stata
colpita. Succedeva spesso che una bomba cadesse nel suo quartiere o
addirittura lungo la stessa via dove abitava lei. E spesso, una volta
cessati i bombardamenti, arrivava notizia delle famiglie che non erano
sopravvissute al bombardamento durante la notte. Quando la guerra
finalmente finì e Hitler fu sconfitto, Bodhihanna mi descrisse gli
stenti di vivere in una Germania devastata dalla guerra. Le
infrastrutture della sua città erano state completamente distrutte. Per
un lungo periodo non ci fu né acqua corrente né elettricità né
condizioni sanitarie decenti né cibo a sufficienza. Imparò molto presto
nella vita a vivere con molto poco. Se da un lato la sua famiglia se
l’era cavata durante quegli anni difficili, dall’altro non era facile, a
quel punto, vivere con lo stigma di essere tedeschi. Sembrava che il
mondo intero provasse disprezzo nei loro confronti. Ciò che era ancora
più difficile da sopportare era che la sua famiglia non era mai stata
d’accordo con il sistema di valori e credenze imposto da Hitler e questo
valeva anche per molti altri tedeschi che erano semplicemente rimasti
intrappolati nel sogno di un pazzo... o meglio, nel suo incubo. Oltre lo stigma
Bodhihanna mi ha raccontato di un’esperienza vissuta quando arrivò
all’ashram di Osho per la prima volta, molti anni fa, quando Osho era
ancora nel corpo. Assisté a Osho che dava darshan, cioè trasmissioni di
energia, a chiunque fosse disposto a riceverli. Fu sbalordita nel vedere
questa trasmissione di energia e gli effetti di beatitudine che aveva
sulle persone. Dopo quell’esperienza scelse Osho come maestro e non si è
mai voltata indietro. Ma lo stigma di essere stata tedesca durante la
seconda guerra mondiale era ancora con lei e si sentiva sempre un po’ a
disagio quando in una conversazione si menzionava la guerra o il nome di
Hitler. Un giorno sentì Osho parlare della guerra e di Hitler. Per la
prima volta sentì come se un enorme peso si fosse sollevato dalle sue
spalle: si era sentita leggera. Mai più sarebbe rimasta intrappolata in
quella vecchia e superata prigione mentale. Poteva lasciare andare lo
stigma ed essere libera! Un’idea di Osho
Negli anni Bodhihanna ha continuato a esercitarsi all’Arco Zen e a
perfezionare la sua pratica. Osho pensò che fosse una buona idea offrire
lezioni all’ashram di allora, Resort di oggi: dopotutto, è una forma di
meditazione e a Osho piaceva qualsiasi espressione dello Zen! E da
allora non ha mai smesso e ancora oggi, a ottantasei anni, non ha alcuna
intenzione di mollare! E viaggia ancora per il mondo per insegnare, non
solo a Pune, ma anche in California e alle Hawaii e le piace anche
ballare. Come dice lei: “Non importa quanti anni hai, quanti problemi
hai, o in che misura sei artefice della tua infelicità. Comincia
semplicemente a giocare, sarai giocoso e conoscerai la verità; a quel
punto vedrai le cose con molta più chiarezza. Presto qualsiasi problema
pensavi di avere si scioglierà come neve in un giorno caldo di sole.
Davvero, non è così difficile. Inizia avendo il coraggio di dire “sì” a
te stesso!”.
Un guerriero spirituale non ha mai pronunciato parole più vere. http://www.oshoba.it/index.php?id=articoli_view_x&xna=134
La vita non deve essere stracolma di pesi e di privazioni. Se è
così, significa che questa è la vostra scelta, il vostro sogno che state
prendendo per la verità, per il dovuto. Non dovete accettarlo. Se è
troppo difficile, troppo complicato, forse non è la vostra porta. Dovete
svegliarvi, scuotervi e uscire dal sogno, ovvero, iniziare a proiettare
il vostro film, un altro, e muovere i piedi verso un'altra porta. E ricordate: gli insuccessi non sono tali; probabilmente, sono dei bivi che vi portano allo scopo.
(V.Zeland)
La via del Transurfer -
https://faregruppo.blogspot.it
Zeland si occupava di fisica quantistica fino alla caduta dell'URSS, poi
si era dedicato all'informatica, e ora scrive i libri che insegnano
agli amanti dell'esoterismo di essere persone positive capaci di
realizzare i propri obiettivi. Conduce una vita nascosta, vive in Russia. Nazionalità: russo al 75% ed estone al 25%.
-
Imparate a godere il cattivo tempo, le code, il traffico, qualsiasi
cosa negativa. Questa specie di masochismo schiarirà, gradualmente, il
cielo sopra il vostro mondo. Dovete pensare solo a quale vantaggio
avrete da una cosa spiacevole. Sarà proprio così: lo vedrete da soli.
- Quando smetterete di volere e avrete l'intenzione di avere, allora lo avrete.
-
La cosa più difficile è sapere aspettare mantenendo la calma del
padrone della situazione. Occorre superare la prova della pausa, quando
nulla accade.
- Permettersi di essere se stessi significa
accettarsi con tutta la sua imperfezione. Permettere ad un altro di
essere se stesso significa togliere da lui le proiezioni delle proprie
attese. Come risultato, la situazione quando uno vuole ciò che l'altro
non accetta, si risolverà, non si sa come, da sola.
- Il miracolo
accadrà solo se rompete lo stereotipo pensando non ai mezzi per
raggiungere un obiettivo, ma all'obiettivo stesso.
- Se vi
sembra di non essere di questo mondo, o vi sembra che ci sia qualcosa
che non va in questo mondo, ottimo. Vi siete svegliati o quasi.
-
Ciò che non dovete fare assolutamente è essere delusi della vostra
vita. Non dovete pensare di aver fallito. A nessuna età lo dovete
pensare. Niente è casuale in questa vita. E tutto deve ancora iniziare: a
qualsiasi età, condizioni e circostanze.