Qui mi sa che occorre riprendere seriamente in considerazione un punto
elementare, evidenziato più volte dai neuroscienziati, al fine di
mantenerci giovani e vitali, con un cervello sempre in forma. Sto
parlando del “cambiamento”! O cambiare, se invece preferite il verbo.
Farlo – cambiare - in tutte le sue forme, ci
fornirebbe la possibilità (che chiaramente i media dell'establisment ben
si guardano dallo spiegare, presi come sono dal reiterare contenuti
smorti ai loro utenti) di costruirci dei nuovi, simpatici 'ponti
neuronali', cioè nuove vie mentali che ci potrebbero condurre su nuove
strade, punti vista e scoperte.
In altre parole: cambiare strada al
mattino, cambiar mano con cui mangiare la frittata, mettersi un vestito
che non avremmo mai messo, oppure decidere di impersonare per un'ora un
nostro amico, in realtà avrebbe il pregio (provare per credere) di farci
uscire almeno per un po' dalle perniciose abitudini dell'automatismo
del corpo e del cervello. Abitudini utili certamente
nell'economia del quotidiano dispendio energetico della vita e del
lavoro, un po' meno però per il nostro sviluppo personale.
E qual'è però l'apice, l'esaltazione del verbo cambiare?
Acqua.. fuochino.. va beh, ve lo dico lo stesso: viaggiare!
Viaggiare infatti ci costringe a rivedere tutto, cambiare tutto, ragion
per cui i nuovi ponti neuronali verrebbero un po' da soli, la mente si
aprirebbe e l'orizzonte ... beh, quello si allarga da se!
Forse è così perchè, come afferma Bruce Chatwin, non abbiamo ancora messo a fuoco che stiamo stupidamente continuando a fare gli “stanziali” (1), seppure invece saremmo nati tutti nomadi?
“L'insediamento prolungato ha un asse verticale di circa diecimila anni, una goccia nell'oceano del tempo evolutivo.”
Ad ogni modo questo articolo vuole essere si un invito per tutti a cambiare, nel senso più umano e naturale del termine, come già detto alla luce delle scoperte positive delle neurologia, ma anche un invito a farlo tramite la grande occasione che ci offre il viaggio,
un'occasione per ritornare per un po' in contatto con la nostra più
vera natura, che la civiltà ha saputo così ben travolgere, in nome di
una finta sicurezza, ma che in fondo ci basta ancora poco per
riconquistare.
Buona lettura e felice cambiamento a tutti!
di B. Chatwin
In uno dei suoi momenti cupi, Pascal dice che tutta l'infelicità dell'uomo proviene da una causa sola, non sapersene star quieto in una stanza. «Notre nature» egli scrive «est dans le mouvement ... La seule chose qui nous console de nos misères est le divertissement.» Diversivo.
Distrazione. Fantasia. Cambiamento di moda, di cibo, amore e paesaggio.
Ne abbiamo bisogno come dell'aria che respiriamo.
Senza cambiamento, corpo e cervello marciscono. L'uomo che se ne sta quieto in una stanza chiusa rischia di impazzire, essere tormentato da allucinazioni e introspezione.
Neurologi americani hanno fatto l'encefalografia a non pochi
viaggiatori. È' risultato che cambiare ambiente e avvertire il passaggio
delle stagioni nel corso dell'anno stimola i ritmi cerebrali e
contribuisce a un senso di benessere, di iniziativa e di motivazione
vitale.
Monotonia di situazioni e tediosa
regolarità di impegni tessono una trama che produce fatica, disturbi
nervosi, apatia, disgusto di sé e reazioni violente. Nessuna
meraviglia - dunque - se una generazione protetta dal freddo grazie al
riscaldamento centrale e dal caldo grazie all'aria condizionata,
trasportata su veicoli asettici da un'identica casa o albergo a un
altro, sente il bisogno di viaggi mentali o
fisici, di pillole stimolanti o sedative, o dei viaggi catartici del
sesso, della musica e della danza.
Passiamo troppo tempo in stanze chiuse.
Io preferisco lo scetticismo cosmopolita di Montaigne. Per lui il viaggio era «un utile esercizio; la mente è stimolata di continuo dall'osservazione di cose nuove e ignote... Nessuna
proposizione mi stupisce, nessuna credenza mi offende, per quanto
contraria alle mie. I selvaggi che arrostiscono e mangiano i corpi dei
loro morti mi scandalizzano meno di coloro che perseguitano i vivi. L'abitudine
e la fissità degli atteggiamenti mentali ottundono i sensi e celano la
vera natura delle cose. L'uomo è naturalmente curioso.»
«Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini» dice Ibn Battuta, l'infaticabile girovago arabo che andò da Tangeri alla Cina e ritornò per il gusto di viaggiare. Ma il viaggio non soltanto allarga la mente: le da forma.
Le nostre prime esplorazioni sono la materia prima della nostra
intelligenza, e nel giorno in cui scrivo queste righe leggo che secondo la NSPCC i bambini che crescono confinati in certi casermoni rischiano di avere uno sviluppo mentale ritardato. Perché nessuno ci ha pensato prima?
I bambini hanno bisogno di sentieri da esplorare, di orientarsi sulla
terra in cui vivono, come un navigatore si orienta in base a noti punti
di riferimento. Se scaviamo nelle memorie dell'infanzia ricordiamo
dapprima i sentieri, poi cose e persone - sentieri nel giardino, la
strada per la scuola, la strada intorno a casa, corridoi attraverso le
felci o l'erba alta. Rintracciare i sentieri degli animali era il primo e principale elemento nella educazione dell'uomo primitivo.
La materia prima dell'immaginazione di Proust furono le due passeggiate
intorno alla cittadina di Illìers, dove egli trascorreva le vacanze con
la famiglia. Queste passeggiate diventarono poi la strada di Méséglise e
la strada dei Guermantes nella Recherche du temps perdu.
Il sentiero di biancospino che portava al giardino di suo zio diventò
un simbolo della sua innocenza perduta. «Fu su questo viottolo» egli
scrive «che notai per la prima volta l'ombra rotonda proiettata dai meli
sul terreno assolato»; e più tardi, imbottito di caffeina e di veronal,
si trascinava dalla sua stanza con le imposte serrate in rare
escursioni in taxi a vedere i meli in fiore, tenendo i finestrini ben
chiusi per non essere sopraffatto dal loro profumo.
L'evoluzione ci ha voluto viaggiatori.
Dimorare durevolmente in caverne o castelli è stata tutt' al più una
condizione sporadica nella storia dell'uomo. L'insediamento prolungato
ha un asse verticale di circa diecimila anni, una goccia nell'oceano del
tempo evolutivo. Siamo viaggiatori dalla nascita. La nostra mania
ossessiva del progresso tecnologico è una reazione alle barriere
frapposte al nostro progresso geografico.
I pochi popoli primitivi degli angoli dimenticati della Terra comprendono meglio di noi questa semplice realtà della nostra natura. Sono in perpetuo movimento.
I bimbi bruno-dorati dei cacciatori boscimani del Kalahari non piangono
mai e sono tra i bimbi più contenti del mondo. E diventano anche,
crescendo, persone mitissime. Sono felici della loro sorte, che
considerano ideale, e chi parla di «un micidiale istinto di caccia
innato nell'uomo» dimostra una stolida ignoranza.
Perché crescono così bene? Perché non sono frustrati da un'infanzia tormentosa.
Le madri non stanno mai ferme a lungo, e i loro bimbi non sono mai
lasciati soli fino all'età di tre anni e più. Stanno vicino al seno
della madre in una fascia di pelle, e il lieve ondeggiare della
camminata li culla e li con-tenta. Quando una madre culla il suo
bambino, essa imita, inconsapevolmente, la buona selvaggia che cammina
adagio per la savana erbosa, proteggendo il suo piccolo dai serpenti,
dagli scorpioni e dai terrori della boscaglia. Se fin dalla nascita
abbiamo bisogno di muoverci, come facciamo in seguito a stabilirci in un
luogo?
Il viaggio dev'essere avventuroso. 'La gran cosa è muoversi' dice Robert L. Stevenson in Travels with a Donkey [Viaggi a dorso d'asino] 'sentire
più da vicino le necessità e gli intralci del vivere; scendere da
questo letto di piume della civiltà, e trovare sotto i piedi il granito
del globo, sparso di selci taglienti'. Le asperità sono vitali. Tengono in circolo l'adrenalina.
L'adrenalina l'abbiamo tutti. Non possiamo eliminarla dal nostro organismo o pregare che evapori. Privati
di pericoli inventiamo nemici artificiali, malattie psicosomatiche,
esattori delle tasse, e, peggio di tutto, noi stessi, se siamo lasciati
soli nella stanza singola. L'adrenalina è la nostra indennità di
viaggio. Tanto vale consumarla in modo innocuo. Viaggiare in aereo è tonificante da questo punto di vista, ma noi, come specie, siamo terrestri.
L'uomo ha camminato e nuotato ben prima di cavalcare o volare. Le
nostre possibilità umane si realizzano meglio in terra o in mare. Il
povero Icaro si schiantò.
La cosa migliore è camminare. Dovremmo seguire il poeta cinese Li Po «nelle
fatiche del viaggio e nelle molte diramazioni della via». Infatti la
vita è un viaggio attraverso un deserto. Questo concetto, universale
fino alla banalità, non avrebbe potuto sopravvivere se non fosse
biologicamente vero. Nessuno dei nostri eroi rivoluzionari vale un soldo finché non ha fatto una buona camminata. Che Guevara parlava della «fase nomade» della rivoluzione cubana. Guardate cosa è stata la Lunga Marcia per Mao Tse-tung, o l'Esodo per Mosè.
Il moto è la migliore cura della malinconia, come sapeva Robert Burton (The Anatomy of Hìelancholy).
«I cicli stessi girano attorno di continuo, il sole sorge e tramonta,
stelle e pianeti mantengono costanti i loro moti, l'aria è in perpetuo
agitata dai venti, le acque crescono e calano ... per insegnarci che
dovremmo essere sempre in movimento».
Uccelli e animali hanno tutti un'orologerìa biologica regolata dal
passaggio dei corpi celesti. Questi sono usati come cronometri e sussidi
per la navigazione. Le oche migrano obbedendo agli astri, e alcuni
scienziati comportamentali si sono finalmente accorti che l'uomo è un
animale stagionale. Un vagabondo che ho incontrato una volta ha
descritto benissimo questa involontaria coazione a girovagare: «E come
se le correnti ti tirassero lungo la strada maestra. Io sono come la
sterna artica. È un bell'uccello bianco, che vola avanti e indietro dal
Polo Nord al Polo Sud.»
La parola 'rivoluzione', tanto offensiva per i persecutori di Galileo,
era usata in origine per denotare il passaggio ciclico dei corpi
celesti. La gente quando si ostacolano i suoi movimenti geografici aderisce a movimenti politici. Quando una rivoluzionaria dice: «Ho sposato la
Rivoluzione», parla sul serio. Perché la Rivoluzione è un dio
liberatore, il Dioniso del nostro tempo. E una cura per la malinconia.
La Rivoluzione è la Via della Libertà, anche se il risultato finale è una maggiore servitù.
Ogni primavera le tribù nomadi dell'Asia
si scrollano di dosso l'inerzia invernale e tornano ai pascoli estivi
con la regolarità delle rondini. Le donne si mettono nuove vesti di
cotonina fiorita e letteralmente «indossano la primavera». I nomadi
ondeggiano al ritmo delle loro selle beccheggiami e segnano il tempo sul
ritmo insistente della campanella del cammello. Non guardano né a
destra né a sinistra. I loro occhi sono incollati alla via che va -
oltre l'orizzonte. La migrazione primaverile è un rito. Essa soddisfa
tutte le loro esigenze spirituali, e i nomadi sono notoriamente
irreligiosi. La via che porta ai monti è il sentiero della loro
salvezza.
I grandi maestri religiosi, Buddha nel
Punjab, Cristo e Maometto nel Vicino Oriente, comparvero tra popoli le
cui costanti migratene erano state infrante dall'insediamento. L'Islam
non germogliò nelle tribù del deserto, ma nelle città carovaniere, nel
mondo dell'alta finanza. Ma: «Nessuno» dice Maometto «diventa profeta se prima non è stato pastore». Il Viaggio alla Mecca, la Vita Apostolica e il Pellegrinaggio a un centro religioso furono istituiti per compensare la mancanza di migrazioni,
e portarono agli estremi imitatori di Giovanni Battista, «vaganti nel
deserto con le bestie selvatiche come se fossero animali essi stessi.»
Da allora la gente stanziale è tornata a idilli arcadici, o ha cercato l'avventura nello «interesse» del proprio paese, imponendo ad altri, a sproposito, la stabilità che non riusciva a sopportare in patria. Vagabondi
costeggiano le strade da qui a Katmandu, tuttavia chi se ne lagna
dovrebbe ricordare la inguaribile irrequietezza studentesca dell'Europa
medievale. Per l'Università di Parigi era una fortuna arrivare
alla fine di un anno accademico senza chiudere i battenti. «Gli studenti
erano armati» lamenta un rettore. «Quando in estate tornavo a casa da
scuola» dice uno studente «mio padre a stento mi riconosceva, tanto ero
annerito dal girovagare sotto il sole».
Tutte le strade portavano a Roma, e san Bernardo lamentava che non c'era
una sola città in Francia o in Italia senza la sua quota di prostitute
inglesi, pioniere dì una grande tradizione. Alla fine la Chiesa fu
esasperata dal fatto che i suoi novizi girassero nudi in pubblico,
dormissero nei forni e cantassero strofe goliardiche con titoli come L'oracolo della santa bottiglia.
Venne impartito un nuovo ordine: «sta' nella tua cella e cammina
intorno al chiostro solamente quando ti si chiede di farlo*. Non servì.
I sufi si dicevano «viaggiatori in cammino» e
usavano la stessa espressione usata dai nomadi per il loro percorso di
migrazione. Portavano anche le vesti di lana dei nomadi. L'ideale di un sufi era camminare come un mendicante o raggiungere con la danza uno stato di estasi permanente, «diventare
un morto che cammina», «uno che è morto prima della sua ora». «Il
derviscio» dice un testo «è un luogo sul quale passa qualcosa, non un
viandante che segue la sua libera volontà». Questo pensiero è affine al
concetto di Walt Whitman: «O strada pubblica, tu mi esprimi meglio di quanto io esprima me stesso... ».
Le danze vorticose dei dervisci imitavano i moti del sole, della luna,
dei pianeti e delle stelle. «Chi conosce la danza conosce Dio» dice
Rumi.
I dervisci in estasi credevano di volare. I loro costumi di danza
erano adorni di ali simboliche. Talvolta le loro vestì erano
deliberatamente sbrindellate e rappezzate. Ciò denotava che chi le
indossava le aveva lacerate nel furore della danza. La moda del patchwork ricompare di solito con i movimenti che praticano la danza estatica.
Danzare è andare in pellegrinaggio; la gente balla di più in periodi di crisi. Durante la Rivoluzione francese Parigi si diede al ballo con un fervore che ha pochi esempi nella storia.
Danzare è andare in pellegrinaggio; la gente balla di più in periodi di crisi. Durante la Rivoluzione francese Parigi si diede al ballo con un fervore che ha pochi esempi nella storia.
I giochi agonistici sono anch'essi pellegrinaggi. In sanscrito una stessa parola designa il giocatore di scacchi e il pellegrino, «colui che raggiunge la sponda opposta». I calciatori non sanno di essere anch'essi pellegrini. La palla che calciano simboleggia un uccello migratore.
Tutte le nostre attività sono legate
all'idea del viaggio. E a me piace pensare che il nostro cervello abbia
un sistema informativo che ci da ordini per il cammino, e che qui stia
la molla della nostra irrequietezza. L'uomo ha scoperto per tempo
di poter spillare tutta questa informazione d'un colpo, manomettendo la
chimica del cervello. Di poter volare via in un viaggio illusorio o in
un'ascesa immaginaria. Di conseguenza gli
stanziali hanno ingenuamente identificato Dio con il vino, con l'hashish
o con un fungo allucinatorio; ma di rado i veri vagabondi sono caduti
in preda a questa illusione. Le droghe sono veicoli per gente che ha
dimenticato come si cammina.
(1) La parola Civiltà significa letteralmente “vita nelle città”. Non ha nessun'altra connotazione o significato.
Il brano è tratto da Anatomia dell'Irrequietezza di Bruce Chatwin
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