Capita sin troppo spesso di assistere all'elogio della coerenza, da una parte o dall'altra di costruzioni artefatte, duali e del tutto umane..
Speculazioni fondate su premesse del tutto arbitrarie e su affermazioni, tutto sommato, gratuite.
Quest'elogio dipinge come moralmente ed eticamente “migliore” ed “auspicabile” l'essere fermi nelle proprie convinzioni, ma, mi chiedo, se sia realmente utile questo in un universo in eterno divenire; se davvero sia la scelta migliore cristallizzarsi su posizioni precostituite, dall'abitudine piuttosto che dalla programmazione culturale del sistema (siano esse posizioni di conservazione piuttosto che di quello che chiamiamo progresso).
In fondo lo sappiamo, perchè ci capita di incapparci ogni giorno, quanto spesso questa resistenza al cambiamento sia, in realtà, solo fossilizzazione; quante volte poi definiamo coerenza quella che è solo permanenza testarda in una visione personale spesso indotta.
Mi chiedo, allora, se non sia forse più appropriato definire la propria coerenza nella continuità; cioè averne un concetto ampio e legato all'evoluzione delle idee e dell'umanità, nonché delle condizioni oggettive che la determinano, allo scorrere, piuttosto che al permanere.
In questo quadro sono quindi il movimento e la mutazione a definire il senso del termine coerenza. Non più la ferrea resistenza ad ogni mutazione con la permanenza nelle proprie idee, ma la capacità di adattarsi mantenendo le proprie premesse ideali.
Queste premesse che motivano ogni nostra successiva scelta e che debbono, loro sì, permanere integre, perchè sono la causa prima che ha mosso i nostri passi.
Salde, non ferme, perchè non esiste questo concetto nell'universo.
Non assolute, perchè nessun essere umano ha la capacità esprimere concetti definibili in tal modo e comunque sensibili ai nuovi linguaggi, agli adattamenti necessari al mutare dei tempi, al percorso, all'idea del cammino e del continuo mutamento degli scenari. Alla maturazione, si spera, costante del nostro interiore.
Non credo sia possibile non avere alcuna presa di posizione, non in un contesto a breve termine e di fronte ad ingiustizie e differenze palesi… e forse non sarebbe nemmeno giusto il non averne.
Ma questo “essere di parte” non è legato ad una eterna appartenenza ad una fazione e ad un gruppo, non è il retaggio di un clan di tifosi eternamente legati ad un giogo di assoluta ed immotivata fedeltà, piuttosto la manifestazione concreta e momentanea di un'idea di fondo, di una visione di Mondo.
Nulla di assoluto e totalizzante, ma un passaggio di umani fra gli umani.
Lo spirito, l'Uno ed il destino dell'Universo sono altro. Ben separati e distinti dal contesto e dal momento in cui la scelta o la presa di posizione avvengono e noi ne dobbiamo restare coscienti, evitando le rigidità non necessarie e le parole inutili.
Quanto odio in meno nelle nostre esternazioni, se non fossimo obbligati in un concetto distorto di coerenza che ci chiede un'assoluta fedeltà alla manifestazione di un'idea eternamente cristallizzata: in una frase fatta, in un concetto di fondo… in una citazione libresca, in una affermazione pseudo-scientifica, tanto per fare alcuni esempi.
Quanta retorica e prosopopea potremmo evitare nelle nostre affermazioni se esse tenessero in appropriata considerazione il divenire. Quanto inutile spirito di giudizio eviteremmo, quanti roghi in meno costruiremmo, se non fossimo stretti dalla falsa coerenza nella convinzione assoluta di essere nel giusto.
Accettiamo l'idea del cambiamento che cambia, anche laddove a noi aggrada meno. Del movimento e dello scorrere. E del nostro esserne parte e componente.
Certo, nulla potrà cambiare se non passerà dal nostro interiore, lo si sente ripetere in continuazione, ma se questo è vero non potrebbe avvenire se per coerenza noi ci opponessimo al suo divenire. Di quanta inutile coerenza è composto il fallimento costante dell'alternativa al sistema... proviamo a pensarci!
Di quanta caparbietà la continua divisione, la frammentazione, il litigio costante in difesa di antichi fossili d'idea… cristallizzati negli anni e nel tempo.
Porre la nostra attenzione al passo ed al cammino e quindi al movimento, piuttosto che a noi stessi, all'importanza del viaggio e della mutazione, sarebbe la via di una nuova visione filosofica…! Forse sì!
Rosa Bruno
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