Il coltan, minerale sanguinoso
Dall’Africa ai nostri cellulari
L’estrazione e la tassa. Li chiamano “Lords of war”, e sono i padroni di queste aree, terre in cui la legislazione e la forza del governo centrale non riesce a far valere alcun tipo di autorità, costingendo i minatori a pagare alle bande armate una quota per ogni chilo di minerale estratto. Con i proventi che ne traggono, i guerriglieri acquistano armi che garantiscono loro ulteriore potere sul territorio. Dopo aver pagato questa “tassa”, i minatori camminano per due giorni, portandosi sulle spalle sacchi che contengono svariati chili del minerale estratto. Il loro obbiettivo è quello di arrivare a Goma, punto di raccolta dove il coltan viene per la prima volta registrato in maniera ufficiale. Fino a questo momento, infatti, non esiste alcun documento che possa garantire l’origine e la storia di questo minerale. Da Goma, il coltan viene caricato in piccoli aerei che raggiungono il Ruanda, l’Uganda, la Tanzania e il Kenya, dove le aziende incaricate dalle multinazionali lo acquistano per farlo arrivare nelle catene di montaggio dei nostri cellulari...
I minatori. In
queste miniere il lavoro e lo sfruttamento minorile sono pratiche,
purtroppo, usuali. I bambini, spesso vengono rapiti dai gestori dei
giacimenti e trasformati in schiavi, nei casi più tristi sono le stesse
famiglie a venderli per pochi dollari: orribile testimonianza di un
Paese in cui fame e povertà fanno spesso dimenticare l’amore filiale. La
dinamica d’estrazione del coltan rende tristemente i più giovani gli
operai migliori per questo lavoro: sono infatti i più adatti a calarsi
negli stretti cunicoli e buche da cui si estraggono le pietre che
contengono il coltan. L’età media dei bambini/minatori si aggira intorno
ai 6-7 anni, e dopo solo una decina di anni trascorsi a lavorare al
buio e alla sporcizia di quei cunicoli invecchiano precocemente e
sviluppano, a causa della radioattività del coltan, malattie del sistema
linfatico che ne causano la morte.
9 centesimi al giorno. I
salari di questi operai sono al di fuori di ogni umana immaginazione.
Secondo un rapporto di Watch International del 2009, la manodopera
locale prende l’equivalente di 18 centesimi di euro per ogni kg di
coltan estratto, che per i bambini scende a una paga giornaliera di 9
centesimi, quando in realtà il prezzo di mercato del minerale arriva
fino ai 600 dollari al kg. A far luce e a presentare al mondo questo
terribile sfruttamento ci ha pensato il danese danese Frank Piasecki
Poulsen che nel 2010 ha girato un documentario dal titolo “Blood in the Mobile”,
con l’obiettivo di far conoscere all’opinione pubblica mondiale da dove
vengono e come sono estratte le materia prime dei nostri cellulari.
Una (debole) soluzione al problema. Per cercare di risolvere questo problema, il presidente americano Barack Obama nel 2010 ha firmato la riforma Dodd-Frank Act, che cercava di bloccare lo sfruttamento e il giro d’affari che si è creato negli ultimi decenni attorno all’estrazione del coltan. La legge americana prevedrebbe l’obbligo di certificare la provenienza di questo minerale così da escludere ogni possibile acquisto dalle miniere incriminate di sfruttamento. Le multinazionali acquistano oggi il prezioso minerale a Kigali, in Ruanda, e in questo modo il materiale risulta “pulito”. Ma c’è un problema. Come già detto, il punto di raccolta del coltan in Congo si troverebbe a Goma, cittadina che dista a meno di tre ore di camion da Kigali. E in Ruanda non esiste neppure un giacimento di coltan. Da dove arriverà, quindi, quello che viene acquistato dalle grandi multinazionali?
Dall’Africa ai nostri cellulari
Da dove arriva il coltan, minerale usato per produrre i condensatori dei
computer portatili, alcuni parti dei telefoni cellulari, delle consolle
di giochi e dei sistemi di localizzazione satellitare? Dietro a questo
prezioso materiale, resistente al calore e alla corrosione, corrono
commerci e scambi che animano l’Africa, in particolare la Repubblica
Democratica del Congo. Il futuro sembra non poter esser scritto senza
queste pietre, di cui è ricchissima la parte orientale del Paese, la
zona del Kivu, lago che s’adagia al confine con il Rwanda, dall’altra
parte della nazione rispetto alla capitale Kinshasa. E qui dove giace
una preziosa risorsa per l’Africa e il mondo, bande armate e
guerriglieri sono riusciti a creare un vero e proprio regime del
terrore, facendo dell’estrazione del coltan un business che viene
sfruttato come fonte di introiti per i loro affari.
L’estrazione e la tassa. Li chiamano “Lords of war”, e sono i padroni di queste aree, terre in cui la legislazione e la forza del governo centrale non riesce a far valere alcun tipo di autorità, costingendo i minatori a pagare alle bande armate una quota per ogni chilo di minerale estratto. Con i proventi che ne traggono, i guerriglieri acquistano armi che garantiscono loro ulteriore potere sul territorio. Dopo aver pagato questa “tassa”, i minatori camminano per due giorni, portandosi sulle spalle sacchi che contengono svariati chili del minerale estratto. Il loro obbiettivo è quello di arrivare a Goma, punto di raccolta dove il coltan viene per la prima volta registrato in maniera ufficiale. Fino a questo momento, infatti, non esiste alcun documento che possa garantire l’origine e la storia di questo minerale. Da Goma, il coltan viene caricato in piccoli aerei che raggiungono il Ruanda, l’Uganda, la Tanzania e il Kenya, dove le aziende incaricate dalle multinazionali lo acquistano per farlo arrivare nelle catene di montaggio dei nostri cellulari...
Una (debole) soluzione al problema. Per cercare di risolvere questo problema, il presidente americano Barack Obama nel 2010 ha firmato la riforma Dodd-Frank Act, che cercava di bloccare lo sfruttamento e il giro d’affari che si è creato negli ultimi decenni attorno all’estrazione del coltan. La legge americana prevedrebbe l’obbligo di certificare la provenienza di questo minerale così da escludere ogni possibile acquisto dalle miniere incriminate di sfruttamento. Le multinazionali acquistano oggi il prezioso minerale a Kigali, in Ruanda, e in questo modo il materiale risulta “pulito”. Ma c’è un problema. Come già detto, il punto di raccolta del coltan in Congo si troverebbe a Goma, cittadina che dista a meno di tre ore di camion da Kigali. E in Ruanda non esiste neppure un giacimento di coltan. Da dove arriverà, quindi, quello che viene acquistato dalle grandi multinazionali?
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