di Roberta Giommi. Esiste un luogo dove non dovremmo mai desiderare di abitare ed è “l’angolo della vittima”. Con questa immagine indichiamo simbolicamente un modo di affrontare i problemi che impedisce di trovare risorse e spinge, al contrario, a ritenere che la propria storia di amore, la propria vita amicale, affettiva, i propri successi o insuccessi lavorativi, sociali, siano legati a cosa fanno gli altri di giusto o sbagliato verso di noi o con noi. Questo atteggiamento, di cui possiamo essere consapevoli o inconsapevoli, è pericoloso, perché fa diventare passivi e in attesa del comportamento delle persone che abbiamo scelto come possibili artefici della nostra felicità. Per esempio siete amate da tre persone anche interessanti ma ritenete che dovrebbe amarvi l’unica che non vi sceglie. A scuola avete pensato che se l’insegnante fosse stata gentile con voi avreste avuto altri risultati; nell’ambito del lavoro credete che se foste state considerate giustamente il vostro successo sarebbe stato garantito; nelle amicizie ritenete che sia più stimata un'altra amica e non voi che lo meritereste di più. Tutte queste situazioni sono esempi di come si può, spesso senza saperlo, abitare nell’angolo della vittima, dove la rabbia o la malinconia, rendono difficili i pensieri intelligenti. Se è così che pensiamo è molto utile riflettere sul perché. Siamo convinti/e che la vita dovrebbe risarcirci per la nostra storia familiare che ha contenuto ingiustizie e lutti o siamo nell’atteggiamento del figlio/figlia a cui tutto è dovuto. Il cambiamento che possiamo produrre è imparare a combattere per le cose amate o desiderate, per guadagnare una posizione negli affetti, nell’amore, nel lavoro. Nella scelta di combattere va sempre tenuto presente il “principio realistico” che valuta saggiamente risorse, limiti e integrazioni possibili. Partiamo da un evento che oggi riguarda tante persone giovani: i conflitti di coppia e la rottura dei rapporti di convivenza e matrimonio, con la presenza di figli. Oggi è molto diffusa una tecnica che è guidata da un esperto mediatore che porta a far emergere le risorse per risolvere i problemi, ma si può imparare ad essere mediatori dilettanti che usano delle regole per non cadere in conflitti non risolvibili. Nella mediazione di separazione e divorzio per esempio, questa tecnica viene rivolta agli ex partner per aiutarli nella ricerca di soluzioni intelligenti per uscire dalla separazione senza subire troppi danni e ottenendo una giusta relazione con i figli e una possibile equità economica. Si lavora insieme per aiutare i partner a fare emergere idee e proposte capaci di determinare un accordo gestito e non delegato agli altri. Nelle realtà di lavoro, si interviene perché il gruppo nel suo insieme, le singole relazioni, conquistino una competenza a rispettare la differenza e costruire relazioni positive e ad accordarsi per turni e modalità relazionali. Quando abbiamo delegato la positività della nostra vita agli altri, siamo inchiodati nell’attesa e nella delusione. Per cambiare partiamo dal metterci al centro della nostra vita, valutiamo i nostri pregiudizi, i pensieri che ci paralizzano, le nostre pigrizie e i nostri difetti e cerchiamo di fare emergere cosa faremmo da soli, di diverso da quello che stiamo facendo. Lasciare l’angolo della vittima vuol dire smettere di pensare che la fortuna e il caso ci renderanno felici e che se fossimo capiti di più, la nostra vita sarebbe giustamente bella. Bene partiamo dal principio realistico: cosa vogliamo e possiamo fare per raggiungere i nostri obiettivi. Impariamo a prendere piccole decisioni autonome, anche su sciocchezze come orari, giornali da acquistare, spesa al supermercato. Consideriamo con pazienza i nostri atteggiamenti rispetto alle difficoltà e pensiamo al conflitto in modo dinamico, impariamo ad essere leali nei conflitti, a renderli aperti: chiediamo con chiarezza cosa vogliamo o esponiamo senza litigare il nostro punto di vista. Le frasi “se tu mi capissi, se mi ascoltassi, se tu fossi meno egoista, se mi volessi bene, ecc.” sono frasi da cancellare, perché mettono noi dalla parte della ragione e l’altro dalla parte del torto. Impariamo a conoscere i nostri bisogni e desideri e a metterli in relazione alle esperienze e i desideri degli altri. Un altro elemento da prendere in considerazione è come è fatto l’altro, come si mette in gioco, di cosa ha paura. Mettersi nei panni dell’altro, non vuol dire cedere, ma capire l’interlocutore per compiere i gesti e costruire le idee che fanno uscire dal conflitto cronico. A volte quando siamo caduti nel contrasto in cui vogliamo solo vincere senza capire, non è più importante il risultato, ma semplicemente vincere e questo impedisce alla relazione di guadagnare benessere. Mettiamoci al centro della nostra vita, fidiamoci che è possibile capire cosa vogliamo veramente, evidenziamo i nostri interessi e prendiamo in considerazione gli interessi degli altri, impariamo ad ascoltare le nostre fragilità, senza diventarne prigionieri delle attese. Per avere risultati diversi bisogna cambiare i pensieri. Questo essere al centro della scena ci fa scoprire i nostri limiti, ci permette di pensare alla nostra vita come ad un progetto che ha parti realizzabili grazie alla nostra competenza e alla capacità di relazione e abbandonando le illusioni eccessive. Nella terapia di coppia evidenziamo le delusioni e le attese e insegniamo a costruire un cambiamento dei pensieri e dell’ascolto. Si dice che possiamo vivere relazioni felici solo se abbiamo in testa una idea di fondo rappresentata da: io valgo e tu vali, io mi stimo e ti stimo, siamo diversi e uguali, ma possiamo costruire. Possiamo così lasciare l’angolo della vittima e andare verso il principio realistico, separando le attese infantili, assolute, da quelle possibili, possiamo così accedere alla nostra vita, come protagonisti e non come comparse in balia delle azioni degli altri.
freeskipper: Come uscire dall'angolo della vittima!
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