Prima dei vari Latouche, Bonaiuti, Pallante, e compagnia, c’era Ivan Illich.
Con questo voglio dire, a ragion veduta, che alle basi di quella che possiamo chiamare “filosofia” della decrescita, c’è quel grandissimo personaggio che fu Ivan Illich.
Solo che, se oggi ripensare la modernità e suggerire la decrescita è relativamente facile, ai tempi non sospetti in cui Illich predicava in questo senso occorreva coraggio e illuminazione.
Incredibile, in proposito, una sua affermazione del 1978: “Il
vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici,
banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e
vengono sospese le libertà."
Come i malati, i Paesi diventano casi critici.
Crisi,
parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire “scelta” o
“punto di svolta”, ora sta a significare: “Guidatore dacci dentro!”.
Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale (…)
La
crisi come necessità di accelerare non solo mette più potenza a
disposizione del conducente, e fa stringere ancora di più la cintura di
sicurezza dei passeggeri; ma giustifica anche la rapina dello spazio,
del tempo e delle risorse” ...
Nel notare con
piacere che molto più modestamente anch’io indicai tempo fa che il
termine crisi non doveva essere letto necessariamente con accezione
negativa, è tremendamente attuale l’affermazione di Illich che nei
periodi di crisi (nella attuale accezione) il potere – che la stessa crisi ha creato – ne approfitta per rapinare spazio, tempo, risorse.
Come non vedere nell’affermazione del grande pensatore ciò che sta
attualmente accadendo nel mondo, in cui le banche dettano direttamente
le politiche dei paesi, determinando una sensibile contrazione delle
libertà e dei diritti.
Aggiungerei
solo che oggi per il capitale contrarre libertà e diritti è diventato
sempre più una necessità, dettata da logiche di sopravvivenza del
sistema (caro, vecchio, sessantottino ”sistema”).
Ecco che per produrre
diventano fastidiosi orpelli i diritti dei lavoratori, ecco che le
grandi opere debbono essere realizzate indipendentemente dalla loro
utilità, ecco che i servizi non debbono più essere pubblici ma in mano
privata.
Peccato che tutto questo porti a un rapido degrado dei rapporti
sociali, dell’ambiente, del territorio dove viviamo e non salvi dalla
galoppante povertà ma anzi accentui la forbice fra chi ha e chi non ha.
“Se vogliamo poter dire qualcosa sul
mondo futuro, disegnare i contorni di una società a venire che non sia
iperindustriale, dobbiamo riconoscere l’esistenza di scale e limiti
naturali. L’equilibrio della vita si dispiega in varie dimensioni:
fragile e complesso, non oltrepassa certi limiti. Esistono delle soglie
che non si possono superare” - Ivan Illich -
Abbiamo la convinzione che ci si può innamorare solo da giovani,
che l’amore non è un affare da età più mature, che uomini e donne
giunti a 60 o a 70 anni possono fare tranquillamente a meno di nuove
relazioni, di nuovi incontri, di nuovi affetti. Anzi, meglio che non
accada a quell’età perché non sarebbe una cosa ooportuna.
Siamo riusciti a dare una data di scadenza all’innamoramento
facendo passare le persone che sentono accendersi la fiamma dell’amore
in età matura come persone che non sanno più ragionare, poco
rispettabili, da giudicare perché non rispettano i canoni sociali che li
vorrebbero spenti, tranquilli, a modo.
Quanti amori rifiutati e allontanati per il quieto vivere di tutti!
Innamorarsi a 70 anni è
invece una scelta coraggiosa, un vero e proprio brindisi alla vita, un
modo di tenere accesa la fiamma dell’esistenza. Una fiamma che non
dovrebbe spegnersi mai, a nessuna età!
Nulla è più bello, più vero della
vita. Prendila sul serio, ma sul serio a tal punto che a settant’anni,
ad esempio, pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli ma
perché non crederai alla morte, pur temendola. Nazim Hikmet
Innamorarsi a 70 anni, l’età della saggezza
Riuscire a mantenere viva la fiamma
dell’amore anche a 70 anni vuol dire essere aperti alla vita, alla
creatività, significa riuscire ancora a percepire la voce dell’istinto.
In più a quest’età c’è una maestra interiore che è presente come non
mai: la saggezza.
Siamo in un periodo della nostra vita
più lento, abbiamo meno impegni, possiamo dedicarci al silenzio, alle
nostre passioni, vivere un tempo più dilatato. E in questo modo la voce
della nostra saggezza può emergere, arricchita da tutta l’esperienza
fatta negli anni.
Amore e saggezza sono uno sposalizio meraviglioso: la loro unione può arricchirci, farci provare emozioni mai provate prima, portarci a vedere il mondo da un’altra prospettiva, ci si sente giovani come non mai.
“La giovinezza non è un periodo della
vita, è uno stato d’animo che consiste in una certa forma della volontà,
in una disposizione dell’immaginazione, in una forza emotiva: nel
prevalere dell’audacia sulla timidezza, della sete dell’avventura
sull’amore per le comodità. Non si invecchia per il semplice fatto di
aver vissuto un certo numero di anni ma solo quando si abbandona il
proprio ideale. Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo, la
rinuncia all’entusiasmo li traccia sull’anima. La noia, il dubbio, la
mancanza di sicurezza, il timore e la sfiducia sono lunghi lunghi anni
che fanno chinare il capo e conducono lo spirito alla morte. Essere
giovane significa conservare a sessanta o settant’anni l’amore del
meraviglioso, lo stupore per le cose sfavillanti e per i pensieri
luminosi; la sfida intrepida lanciata agli avvenimenti, il desiderio
insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo, il senso del lato
piacevole e lieto dell’esistenza. Resterete giovani finché il vostro
cuore saprà riceverei messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio, di
grandezza e di forza che vi giungono dalla terra, da un uomo o
dall’infinito. Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate e
su di esse si saranno accumulati le nevi del pessimismo e i ghiacci del
cinismo, è solo allora che diverrete vecchi. E possa Iddio aver pietà
della vostra anima”
(Parole scritte dal poeta americano Samuel Ullman incise sulla Pietra della Giovinezza al Parco Giardino Sigurtà di Valeggio Sul Mincio a Verona)
Riuscire ancora a innamorarsi a 70 anni è quindi una grande conquista dell’anima, è un tesoro da custodire e non da allontanare per paura del pensiero altrui o per sensi di colpa. Vuol dire essere ancora in grado di meravigliarsi, cosa che spesso si fa fatica a vivere già a vent’anni!
L’amore in età avanzata mette in crisi il proprio equilibrio
Quando ci si innamora, al di là
dell’età, si entra in uno stato iniziale di smarrimento, di felice
confusione, di perdita del proprio Io. In età avanzata questa perdita di equilibrio
è maggiormente sentita poiché spesso si era già abbandonata l’idea di
un nuovo amore, non era previsto un coinvolgimento emotivo forte nei
riguardi di un’altra persona, ci si sentiva già vecchi. Quando poi
arriva questo vero e proprio scossone d’anima tutte le
certezze vacillano e non si comprende più la via da prendere. Perché se
da giovani innamorarsi é normale a 70 anni è considerato un vero e
proprio tabù.
L’amore ha un potere rivoluzionario immenso, a qualsiasi età!
Chi anche in un’età così matura riesce
ad avere il coraggio di seguire il proprio cuore e non la propria mente
va incontro ad un’esperienza relazionale tra le più importanti della
vita. Perché se è vero che l’amore è amore a qualsiasi età, è anche vero
che ogni età porta con sé un diverso modo d’amare.
Innamorarsi a 70 anni vuol dire riuscire a vedere l’anima dell’altro,
ad inoltrarsi nelle profondità dei suoi occhi, a non perdere tempo
prezioso, ad esigere la verità delle parole, delle azioni, degli
intenti. Solo a quest’età si è consapevoli dell’immenso valore delle
piccole cose e della ricchezza di poterle condividere insieme in una
relazione d’amore.
Settanta anni! A questa età non ci son più che le piccole cose che contano.
E’ molto probabile che a 70 anni si possa amare in modo maturo,
dopo anni di conoscenza di se stessi e del mondo. E questo rende le
relazioni affettive di quest’età una vera e propria ricchezza per ogni
individuo. Si ha più consapevolezza di cosa si vuole, di come agisce
l’animo umano, dei confini da segnare tra sé e l’altro, del sano
equilibrio tra dare e ricevere.
E’ anche vero che l’età di ogni persona
non sempre coincide con il suo livello di maturità psichica e
relazionale. Ma chi s’innamora a 70 e ha il coraggio di
vivere questo amore è una persona che ha comunque il potere di far
emergere da se stesso emozioni, desideri, progetti e sogni e questo
movimento interiore ha già di per sé un valore immenso, è un indizio di
apertura alla vita, di sguardo interiore, di grande sensibilità.
Non serve un nuovo amore per sperimentare tutto ciò. Basta innamorarsi ogni giorno in modo diverso anche della persona con cui si sta insieme da una vita.
Oppure di un ideale o di un progetto. Della vita stessa. E arrivare a
70 anni stupendosi ancora, divertendosi, iniziando per la prima volta a
suonare il pianoforte o decidendo anche di mettere fine ad una relazione
per ricercare la propria individualità persa da chissà quanto tempo. Muovendosi insomma, internamente. Sempre. E non dando mai nulla per scontato.
L’amore è movimento dell’anima. Se si ferma, a qualsiasi età, muore.
Non
parlare con nessuno del tuo progetto di realizzazione del tuo desiderio
e del lavoro che stai facendo mettendo in pratica queste lezioni.
Tienilo
nel segreto della tua mente e del tuo cuore. Custodisci questo tuo
lavoro nel tuo segreto, non renderne partecipe nessuno. È il tuo luogo
sacro, nessuno deve esserne a conoscenza eccetto tu e Dio.
Vorrei
darti una seconda raccomandazione, che hai già incontrato in questa
lezione ma che è importante che tu trattenga in mente come uno degli
elementi cruciali di questa stessa lezione:
Non
pensare troppo a come realizzerai ciò che desideri, a come l’obiettivo
che è nella tua mente diventerà realtà. Pensa soltanto di essere già ciò
che vuoi diventare e di aver già realizzato ciò che vuoi realizzare.
Non è più necessario pensare al come, quando sai di essere già. Il tuo ragionamento “tridimensionale”, il tuo pensiero logico-razionale, che è molto limitato, non dovrebbe mai entrare in questo processo. Dovrebbe per così dire essere tenuto all’oscuro, in modo da non avere possibilità di intervenire.
La
regola aurea è: ciò che hai appena ritenuto vero è vero. Non lasciare
che nessuno (un altro o la tua mente conscia) ti dica che non dovresti
ritenerlo reale. Ciò che senti che hai, avrai. E ti prometto con
assoluta certezza che dopo che avrai realizzato il tuo obiettivo, se ti
volterai indietro a guardare il percorso che hai fatto, ti accorgerai
che nessun percorso logico-razionale, nessuna strada “ragionevole” ti
avrebbe permesso di raggiungere quello che hai raggiunto.
Ti renderai conto di questa verità: quando utilizzi le leggi del sistema non procedi per passi ma per salti.E
ti troverai con gioioso stupore ad ammettere che nessun ragionamento
consapevole ti avrebbe fatto escogitare le strategie che hai escogitato e
il percorso che hai trovato.
Tu
sei e hai ciò che in questo momento è la cosa più appropriata per te.
Non metterla in discussione e non discuterne. Non cercare qualcuno che
ti possa dare un incoraggiamento perché nessuno ti può dare alcun
incoraggiamento. Tu crei la tua realtà e tu sei il solo che può crearla.
Nessun altro può assicurarti niente – eccetto il Padre.
Abbi
perciò fede che stai seguendo la legge del Padre, continua a fare il
tuo lavoro con serenità, e lascia che queste cose che stai creando nella
tua mente accadano nel tuo mondo.
42 anni è un traguardo importante nella vita di ogni individuo. Una tappa da celebrare, da onorare, da ricordare.
Non è un’età come le altre.
Anche se è vero che ogni età è diversa e porta con sé esperienze,
consapevolezze e storie che appartengono solo a quell’annata, i 42 anni
rappresentano una vera e propria porta.
Gli studi di biologia ci dicono che ogni 7 anni tutte le nostre cellule si rinnovano completamente e lo studio della biografia secondo l’antroposofia
parla di settenni di sviluppo, fasi di 7 anni all’interno delle quali
l’individuo fa esperienze particolari per prepararsi alla fase
successiva. Seguendo questi interessanti approcci comprendiamo che i 42
anni non sono altro che l‘inizio del nostro settimo settennio, considerato il periodo della piena maturità umana.
La vita dell’uomo conosce tre fasi: vent’anni per imparare, venti per lottare e venti per saggezza maturare
Detto cinese
Cosa accade a 42 anni?
A questa età tutto ciò che si è imparato nei settenni precedenti può diventare frutto.
Spesso gli uomini iniziano a costruire casa, le donne a trovare la via
di realizzazione di se stesse. Dopo tanto cercare, studiare, mettersi in
gioco è ora di raccogliere tutto ciò che si ha seminato e fermarsi a
gustarsi il buon raccolto che ne verrà. A questa età possono accadere
cambiamenti radicali, sia affettivi che lavorativi. Possono insorgere
crisi, avvengono trasferimenti, disagi interiori particolari.
Ciò che inizia a cambiare in modo evidente è il corpo.
Se prima dei 40 anni non si sono notati particolari mutamenti quando si
giunge intorno ai 42 anni cambia la nostra massa muscolare, la pelle,
perfino le caratteristiche dei capelli. Vi è una vera e propria trasformazione. Esterna ed interna all’uomo.
Bernhard Lievegoed, che ha lavorato molto sul tema della
biografia, dice che tutti più o meno a questa età abbiamo delle
esperienze di soglia, anche perché questo è di nuovo un momento di
decisione.
da “LA BIOGRAFIA UMANA parte I”, di Robert Gorter
L’età della decisione
Possiamo denominare i 42 anni l’età della decisione. Chi vogliamo essere? Cosa vogliamo fare?
Sono queste le domande che ora attendono una risposta. Non possiamo più
andare oltre a questi anni per poter agire chi siamo. Certo, anche dopo
quest’età possiamo attuare cambiamenti, porci domande nuove, riprendere
in mano sogni e desideri. Ma i 42 anni è il momento ideale per partire
con il piede giusto, per fare finalmente il punto della situazione, per
riunire tutte le forze e indirizzarle verso quella chiamata dell’anima
che ci sta attirando a sé in modo prepotente.
Questa soglia è molto simile alla soglia adolescenziale.
In questo periodo della vita siamo messi di fronte a decisioni da
prendere, allacciamo amicizie nuove, interessi assopiti si risvegliano,
sentiamo come allora uno spirito di ribellione che scalpita dentro di
noi, proviamo smarrimento, insicurezza, instabilità. E’ come se si aprissero occhi nuovi:
questa volta più consapevoli, più maturi. Ritornano malanni fisici del
passato, paure credute superate oppure il nostro corpo può far emergere
sintomi completamente nuovi. Tutto è in movimento. Tutto ci sta parlando.
I 42 anni rappresentano anche un giro di
boa. Siamo arrivati più o meno a metà della nostra vita. Ci ritroviamo a
fare un’analisi di ciò che abbiamo vissuto, a fare i conti con i nostri
desideri realizzati e quelli ancora da concretizzare. E’ ancora il tempo per creare.
Anzi, è il momento giusto questo per farsi guidare dall’istinto, dalla
fantasia, dall’immaginazione. Ora sì possiamo seguire in modo saggio
queste nostre maestre interiori, non come in
adolescenza quando non avevamo ancora le redini della nostra
interiorità. Ritornano ora le vibrazioni della nostra adolescenza e le
possiamo incanalare per concretizzare i nostri sogni e progetti di vita.
Verso i 42 anni ci conosciamo abbastanza e possiamo percepire vivamente la nostra missione su questa terra.
E seguirla. Tutto ciò che è accaduto prima è stata una preparazione a
questo momento. Tutte le fatiche, i cambiamenti interni ed esterni a
noi, gli accadimenti, tutte le crisi, le gioie e i drammi sono stati
allenamenti in grado ora di far luce nel buio avvertito per così tanto
tempo.
Adesso è il momento di scegliere la luce, di decidere per quella via, di rischiare.
42 anni, la porta della realizzazione
Durante gli anni precedenti ai 42 si
percepisce solitamente una grande turbolenza interiore, si va alla
ricerca incessante di qualcosa che non sappiamo definire, veniamo
attirati da percorsi di crescita personale per comprenderci meglio, ci
si sente sempre inadeguati. Questi anni turbolenti sono il preludio di
questa porta trasformativa.
Ciò che decideremo di fare a questa età
sarà la luce che illuminerà il resto della nostra vita. Galileo Galilei
guardò le stelle la prima volta a 42 anni. Rosa Parks a 41 si rifiutò di
cedere il proprio posto sull’autobus ad una persona di colore bianco
dando il via al movimento per i diritti civili degli afroamericani.
Ma anche tante persone comuni intorno a noi, se ci pensiamo, hanno
preso parte a quest’età a cambiamenti importanti. C’è un onda che giunge
in questo periodo della nostra vita, un’onda da cavalcare, da non
lasciarsi sfuggire.
Siamo dinnanzi ad un bivio: prendere o lasciare.
La vita comincia a quarant’anni. Sophie Tucker, Life begins at forty, 1937
Parliamo del ruolo davvero fondamentale della Ghiandola Pineale
nella regolazione generale di tutte le funzioni vitali, suggerendo
infine alcune delle principali pratiche di equilibrio.
L’attività della pineale viene modulata direttamente da impulsi nervosi provenienti dalla retina tramite la “noradrenalina”.Si attiva attraverso la luce proveniente dall’esterno, metabolizzando il “triptofano” (aminoacido aromatico essenziale, non sintetizzabile dall’uomo che deve perciò assicurarselo con il cibo) fino a trasformarlo in “serotonina”.
La serotonina viene successivamente trasformata in
“melatonina” durante le ore notturne e possiede molteplici funzioni
fondamentali: è un potente antiossidante, regolatore immunitario e
biologico, calmante. La serotonina è coinvolta in numerosi
sintomi come l’emicrania, il disturbo bipolare, la depressione, l’ansia e
il panico (inoltre partecipa alla regolazione di altri ormoni
(ipofisari). Nella sintesi della serotonina interviene la vitamina D (colecalciferolo) che è quindi da considerare come un ormone serotoninergico (di conseguenza anche antidepressivo). L’irradiazione solare naturale è essenziale al funzionamento di tutto il processo.
Campi Elettromagnetici e Colori
La pineale funziona bene in condizioni di campi elettromagnetici naturali e coerenti
mentre le attività umane attuali producono campi per lo più
incompatibili col suo funzionamento, poiché mancano di coerenza e
generano interferenza.
La sua risincronizzazione è la base per ogni intervento di prevenzione e cura praticamente di tutte le patologie.
Sappiamo che il cervello può osservare uno spettro più ampio di quello
della sola vista, come nella grande visione sciamanica, e modificare le
proprie funzioni.
Gli ormoni dello stress, le “catecolamine” e i
“corticosteroidi” inibiscono la produzione dei metaboliti della pineale,
come la melatonina. I colori a bassa frequenza, come l’infrarosso e il
rosso sono utili per stimolare il metabolismo, attivare i meridiani, sono antidolorifici, attivano il sistema simpatico
(Moxibustione, Agopuntura, Laser ecc.). Quelli ad alta frequenza, dal
blu al violetto, attivano il sistema nervoso vegetativo, quelli a media
frequenza come il verde, non agiscono direttamente sul sistema nervoso. Perciò questi colori favoriscono una diminuzione dell’iperattività e favoriscono la produzione dei metaboliti pinealici.Dalla
melatonina la pineale sintetizza anche una sostanza, la “pinolina” o
“pinealina”, che ha effetti particolari, simil-allucinogeni in senso
sciamanico poiché, permettendo il processo di inversione dei
neuroni, la mente subconscia si connette alla mente conscia, come nei
sogni lucidi.
Interazioni e Alimentazione corretta
La ghiandola pineale si comporta come un magnete e
interagisce con i campi EM, ma anche con sostanze chimiche: il fluoro,
il cloro, il bromo, il calcio, metalli pesanti (mercurio, piombo,
alluminio ecc.) tossici per tutto il sistema nervoso.
Il fluoruro di sodio si accumula e crea calcificazioni (fosfato
dicalcico), così come un eccesso di calcio nella dieta, in particolare
da latticini e integratori: è necessario non utilizzare acqua fluorurata
o clorata, dentifrici al fluoro, bevande industriali cariche di
additivi e zucchero. Il fluoro e il bromo, aggiunto all’acqua, è
stato spesso utilizzato per rendere gli uomini “docili” e collaborativi
dai totalitarismi di ogni tipo ed epoca, incapaci di reagire.
Alimenti molto utili da consumare quotidianamente sono:
alghe, germogli (di cereali, ravanello, crescione ecc.), alimenti ricchi
di clorofilla, barbabietole, curcuma, noci, olio di cocco e di semi di
canapa, succo di limone/bergamotto.
Il Triptofano si trova in abbondanza nel cacao (cioccolato
fondente), mango (frutta tropicale) datteri, frutta oleosa (semi di
lino, zucca, sesamo, girasole, noci, mandorle), banane, avena, alghe,
cereali integrali, semi di soia, verdure foglia verdi (lattughe,
radicchio, catalogna, broccoletti ecc.). Tra gli
integratori: alga Clorella, Spirulina, funghi medicinali, Griffonia, una
pianta ricca di 5 HT (idrossi triptofano), precursore della serotonina.
Alcune Pratiche di Attivazione
Trattamento del sole.Si chiama “Sun Gazing” ed è la pratica di osservare il sole. Gli antichi egizi e i popoli mediorientali usavano questa pratica. Deve essere fatto subito dopo l’alba o appena prima del tramonto per non danneggiare l’apparato oculare.
La pratica va svolta scalzi a diretto contatto con la terra oppure con
l’erba oppure sulla spiaggia. Si inizia con 10 secondi di pratica per
aumentare ogni giorno di 10 secondi, fino ad arrivare a 30 secondi. (Si
raccomanda tuttavia, per non correre rischi, di non praticare questa
pratica in modo sprovveduto, bisogna affidarsi a qualcuno che la conosca
e possa insegnarla.)
Abbracciare il buio.La ghiandola pineale è attivata non solo dal sole ma anche dal buio – nella completa oscurità. Quindi assicuriamoci che la camera da letto sia il più scura possibile durante la notte durante il sonno. Utile anche la meditazione al buio a occhi chiusi, e l’ascolto della musica a bassa frequenza, o di musica classica al buio.
Unzione con olio essenziale.Suggerisco olio essenziale di limone, bergamotto, artemisia, mirra, arancio amaro, loto,
nella proiezione della pineale anche ponendo qualche goccia nella zona
del cuore e del 3° occhio, in mezzo alla fronte. Questa unzione era
usata per preparazioni rituali con lo scopo di ottenere grande
rilassamento e così migliorare la concentrazione e le percezioni. Dona
benessere.
Una buona pratica consiste nel sostituire se possibile le lampadine con quelle a spettro completo, facilmente reperibili sul mercato, in modo da non costringere a continui adattamenti di frequenza gli occhi.
Articolo di Ubaldo Carloni – (Già ricercatore in biochimica
nutrizionale e farmacologia; nutrizionista, diploma e membro AMIK –
Associazione Medica Italiana Kousmine. Autore di varie pubblicazioni
scientifiche e divulgative. Specializzazione in Kinesiologia
Applicata-Olistica. Master in Zen Shiatsu, esperto in MTC.)
Qualcosa è cambiato, dopo un anno di
bugie e sofferenze? Sembrerebbe di sì: persino il massimo portavoce
degli spaventapasseri-Covid, cioè il catastrofico Roberto Speranza, ha
stranamente annunciato l’imminente uscita graduale dal tunnel, nel corso
della primavera, in vista di un’estate finalmente quasi normale. Facile
la spiegazione di comodo offerta dal ministro-carceriere: i vaccini
garantiranno l’immunità di massa, dopo che i lockdown hanno limitato i
danni. Falsità visibili dalla Luna: l’Italia delle zone rosse ha
collezionato centomila morti (dichiarati, almeno). E gli attuali
non-vaccini (cioè i preparati genici che inseguono le varianti del
coronavirus) non riusciranno mai – secondo autorevoli infettivologi come
Pietro Luigi Garavelli, primario a Novara – a proteggere davvero la
popolazione, perché il virus (mutante) sarà sempre più veloce di loro.
Come se ne esce? Lo spiegano i medici che guariscono i pazienti: le cure
precoci, prescritte ai primi sintomi, molto spesso permettono di
curarsi da casa, evitando il ricovero.
Così si sgonfiano i numeri dell’emergenza: ci crede il Piemonte,
prima Regione italiana ad adottare il protocollo-base che il ministero
della sanità si è finora rifiutato di fornire ai medici di famiglia.
Niente più panico, dunque. I primi a raccomandare l’opposto della linea
adottata dai governi occidentali erano stati i luminari che un anno fa
sottoscrissero la Dichiarazione di Great Barrington, negli Usa: bisogna
lasciarlo correre, il virus, per raggiungere in fretta l’immunità di
gregge, stando pronti a usare i farmaci giusti per curare (a casa,
presto e bene) chi si ammala. I vaccini? Non indispensabili. Parola dei
maggiori epidemiologi del mondo, quelli che per primi affrontarono
l’Ebola. Unica accortezza: proteggere anziani e malati, tenendoli
isolati (loro sì), ma evitando assolutamente i lockdown e ogni forma di
distanziamento, pena il trascinarsi del Covid per anni. Recenti studi
pubblicati da “Science” e “Nature” lo confermano: se ci si contagia a
milioni, il Sars-Cov-2 diventa progressivamente innocuo, come un banale
raffreddore.
Se è così, perché mai abbiamo sbagliato tutto – distanziando,
chiudendo, ospedalizzando – per un anno intero? «Non è stato affatto un
errore, ma una scelta deliberata». Lo sostiene Nicola Bizzi, storico ed
editore di Aurola Boreale, co-autore del saggio “Operazione Corona,
colpo di Stato globale”. Nella trasmissione web-streaming “L’orizzonte degli eventi“,
condotta sul canale YouTube di “Border Nights” insieme a Tom Bosco e
Matt Martini, Bizzi sintetizza: l’anonimo “sequestro” del pianeta, in
virtù di una semplice sindrome influenzale (sia pure pericolosa, se non
curata tempestivamente) faceva parte di un piano preciso, coltivato da
élite oscure. L’altra notizia è che questo piano mostruoso è
tecnicamente fallito: già a novembre, dice Bizzi, i “golpisti” hanno
trattato la resa, accettando un esito diverso: la “pandemia” sarebbe
terminata a fine aprile. Ultima concessione, il lauto business dei
vaccini. Poi, la ritirata: cioè l’annuncio che il virus sarebbe stato
sconfitto. «L’alternativa sarebbe stata un Processo di Norimberga, per
crimini contro l’umanità».
In altre parole: sbrigatevi a vendere i vostri inutili vaccini,
ancora per qualche mese, e poi toglietevi di torno. Credibile? Per
Bizzi, assolutamente sì: «Fate caso ai segnali che provengono dal mondo
che conta, quello della finanza: stranamente, da settimane, le agenzie
di rating prevedono la fine della pandemia entro aprile e il grande
rilancio di settori come il turismo e l’immobiliare». Eppure, per
i media, siamo ancora alle prese con il peggio. «Appunto: i media si
adegueranno rapidamente». Non potendo ammettere che i numeri
dell’emergenza erano gonfiati, oltre che propiziati dal pazzesco rifiuto
di curare i pazienti in modo tempestivo, a casa, ora parleranno
dell’effetto miracoloso dei vaccini. «Una recita, ampiamente prevista e
concordata coi vincitori». Chi sono? «Una parte dell’élite mondiale, che
non ha mai approvato il Grande Reset disegnato a Davos, il progetto di
schiavizzazione dell’umanità». Nomi? Uno, enorme: «I Rothschild: hanno
contrastato la cordata di Bill Gates e Fauci, della Cina, dell’Oms.
Evidentemente, quel tipo di Great Reset disturbava i loro interessi».
Non solo: Bizzi – che vanta importanti relazioni col mondo
dell’intelligence – parla di una storica “guerra” all’interno della
stessa, potente massoneria sovranazionale: una fazione importante si
sarebbe opposta con ogni mezzo al “totalitarismo sanitario”, che secondo
i “falchi” «doveva durare fino a tutto il 2023, cancellando per sempre
diritti, libertà e democrazia». Se quel piano è fallito – sottolinea
Bizzi – lo dobbiamo in gran parte alla Russia di Vladimir Putin: «Col
suo vaccino Sputnik, che è sostanzialmente un antinfluenzale, si è
portata dietro tre quarti del mondo, dall’India al Sudamerica». Abile,
Putin: «Ha usato la Bielorussia come apripista. Ricordate? Il presidente
Lukashenko – immediatamente aggredito con la solita “rivoluzione
colorata” finanziata da Soros – denunciò il tentativo di corruzione da
parte di Oms e Fmi: avrebbero coperto di soldi la Bielorussia, se avesse
accettato di attuare il lockdown “come l’Italia”. Una denuncia che non è
rimasta inascoltata».
Putin, il presidente che Joe Biden ha appena definito «un assassino»,
ha messo fine per primo allo stato d’emergenza, abolendo ogni forma di
distanziamento: «La scorsa settimana ha celebrato a furor di popolo la
riunificazione con la Crimea: nel più grande stadio di Mosca c’erano
duecentomila persone strette l’una all’altra, mano nella mano, e senza
mascherina». Messaggi eloquenti, in mondovisione: «E’ il segnale:
l’incubo ha le settimane contate, ormai, anche in Occidente, cioè l’area
del mondo che – attenzione – resta di gran lunga la più colpita, sia in
termini sanitari che in termini economici: e non credo proprio sia un
caso». Alla luce del Bizzi-pensiero, le traduzioni nostrane sembrano più
agevoli: Mario Draghi, che ha adottato la sottigliezza del soft-power,
ha pubblicamente elogiato lo stesso Speranza (la maschera del rigore)
irritando moltissimi italiani, ormai insofferenti di fronte al “regime”
sanitario delle restrizioni. Ma ecco che, in capo a pochi giorni,
proprio Speranza comincia a intonare la nuova canzone (”ne usciremo
presto”) che, secondo Bizzi, era stata concordata già a novembre, nelle
segrete stanze del grande potere: quello che poi, a cascata, spiega
anche ai Roberto Speranza cosa dire, e quando.
Viviamo in un mondo duale, un mondo costituito dagli opposti bene/male,
bello/brutto, giorno/notte. Questo mondo nasce dalle convenzioni, dal
voler catalogare, distinguere, ciò allo scopo di poter comunicare con
gli altri e farsi capire, ma è pur sempre un mondo mentale, totalmente
mentale.
In questo mondo si pone enfasi sulle cose belle, sia esterne che a noi
interne. Di conseguenza, ognuno di noi tende ad apparire più che ad
essere, ciò per due motivi fondamentali: nessuno, nemmeno chi ci ha
educati, ci ha mai insegnato ad essere, perché probabilmente nemmeno
lui, ancora oggi, sa come essere. Il secondo motivo è legato al fatto
che, anche se volessimo essere, così, di punto in bianco, non lo
potremmo, ciò perché dovremmo prima avere il coraggio di fare un viaggio
al nostro interno.
(Immagine presa dal web)
Questo viaggio al nostro interno comporta dei rischi e, proprio per
questo, costituisce una sorta di discesa agli inferi (per approfondire
l'argomento puoi cercare nel mio blog l'articolo DISCESA AGLI INFERI),
un passaggio dal regno della luce a quello dell'ombra. Il regno
dell'ombra, però, è abitato dai nostri demoni, quelli che ci governano
quando siamo in preda alla paura, delusione, depressione, sconforto,
frustrazione o rabbia, tanto per citare solo alcuni.
E' facile mostrare quanto siamo bravi a svolgere un lavoro per il quale
siamo portati, come siamo ben vestiti, educati, quanto composti
riusciamo ad essere in occasione di un pranzo d'affari... Ma queste sono
le parti in luce, quelle legate all'apparire, quelle legate al mondo
esterno, aperte a tutti.
(Immagine presa dal web)
Accanto a queste parti in luce, però, esistono delle parti in ombra,
parti che non conosciamo e che, spesso, quando capita che emergono ci
procurano molti problemi nella loro gestione, basti pensare all'ansia o
alla rabbia. Ma per essere davvero completi, totali ed integri, occorre
lavorare anche sulle nostre ombre, facendo luce su di esse fino a
smetterla di lottarci contro o averne ancora paura.
Sono proprio le nostre ombre, infatti, costituite dai lati oscuri della
nostra personalità, quelle che, solo se integrate, possono farci
diventare delle persone complete, vere e totalmente padroni della nostra
personalità. Ma come si fa a far luce sulle nostre ombre?
(Immagine presa dal web)
Innanzitutto bisognerà lavorare in totale ascolto di sé, un ascolto
scevro da ogni forma di giudizio, un ascolto in grado di porci di fronte
alle nostre zone in ombra con la massima imparzialità, distacco,
capacità tipiche di chi medita ed è in grado di osservare senza
identificarsi mai con nessuno stato d'animo in particolare ma,
piuttosto, lasciandolo fluire senza disperdere energia.
Da ciò si capisce bene come sia importante essere preparati a
fronteggiare i conflitti irrisolti che ci zavorrano ancora al passato e
le ansie che ci proiettano molto oltre l'adesso verso un futuro
minaccioso e letale, almeno così sembra apparire agli occhi delle nostre
menti iperattive.
(Immagine presa dal web)
Meditare, approfondire la respirazione e lavorare con forme di yoga
fisico può essere, in questi contesti, di fondamentale importanza e
preparatorio per quello che sarà il passo successivo che ci porterà ad
intraprendere il viaggio dentro di noi, per mettere fine al caos, al
regno delle tenebre attraverso la luce della nostra consapevolezza, fino
a sanare i conflitti che albergavano in noi ma che avevamo congelati
per la troppa paura/incapacità di fronteggiarli nel momento in cui
avvennero i fatti.
E' tempo di far pace con noi stessi, la pace di mente, cuore e anima; è
tempo di far luce sulle nostre ombre, fino a bilanciarle ed integrarle
nella nostra personalità, senza giudizio né rifiuto, ma in totale
accoglienza; è tempo di amarsi ed accettarsi, per come si è, senza nulla
aggiungere o togliere; è tempo di ESSERE, di riconoscersi, di andare
oltre l'apparire e il desiderio di approvazione attraverso la
standardizzazione col gregge globale; è tempo di tornare se stessi,
LIBERI, VIVI E FELICI.
Ero seduto nella stanza verde di uno studio televisivo a Manhattan il giorno in cui è arrivata la tempesta ...
Era
giovedì 12 marzo 2020 e stavo aspettando con ansia il mio turno per
intervenire, sperando che i treni non si fermassero prima che potessi
lasciare la città. Fortunatamente non si sono fermati, ma metà di tutto
il resto sì.
In
quel giorno, tutti sapevano cosa sarebbe successo. C'era il panico
nell'aria, fomentato principalmente dai media e dai personaggi politici.
Un mese prima l'idea di un lockdown era impensabile, ma in quel momento
sembrava che potesse essere applicata.
Un
uomo barbuto, magro, dall'aspetto saggio e con gli occhiali in stile
Freud, si era seduto di fronte a me, appena uscito dallo studio. Era lì
per riprendere fiato dopo l'intervista, ma sembrava profondamente
turbato.
"C'è paura nell'aria", dissi rompendo il silenzio.
“La follia è tutt'intorno a noi. La popolazione ha un disturbo della personalità che ho trattato per tutta la mia carriera ".
"Cos'è che fai?" chiesi ...
"Sono
uno psichiatra specializzato in disturbi d'ansia, deliri paranoici e
paura irrazionale. Ho trattato questi sintomi per anni, sia come
individuo che come specialista. È abbastanza difficile contenere questi
problemi in tempi normali e ciò che sta accadendo ora è una diffusione
di questa grave condizione medica a tutta la popolazione. Può succedere
con qualsiasi cosa, ma qui vediamo una paura primaria della malattia
trasformarsi in panico di massa. Sembra quasi intenzionale. È tragico.
Una volta iniziato, potrebbero essere necessari anni per riparare il
danno psicologico".
Mi
sedetti un po' sbalordito, in parte perché parlare in termini così
apocalittici era qualcosa di nuovo in quel momento storico e in parte
per via della certezza della sua opinione. Alla base dei suoi brevi
commenti c'era la convinzione che non ci fosse nulla di particolarmente
insolito in questo virus. Ci siamo evoluti con loro e abbiamo imparato a
trattarli con calma e professionalità. Ciò che distingue il momento
attuale, diceva, non era il virus ma una sorta di follia pubblica.
Ero
uno dei primi tra gli scettici della narrativa mainstream, ma anche io
non ero sicuro che avesse ragione sul fatto che il vero problema non
fosse fisico ma mentale. In quel momento, anche io ero cauto nello
stringere mani e mi portavo dietro il gel disinfettante. In seguito ho
scoperto che molti medici hanno cercato di calmare le persone per
settimane, sollecitando il normale funzionamento della società piuttosto
che il panico. Comunque ci sono volute settimane affinché mi rendessi
conto che aveva ragione: la principale minaccia che la società doveva
affrontare era una condizione psicologica.
Avrei dovuto immediatamente rivolgermi ad un libro che al liceo era uno dei miei preferiti. Si tratta di Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds di
Charles Mackay (1841). Mi è piaciuto leggerlo perché, pur evidenziando
la follia umana, sembrava anche indicare che noi come civiltà ci
troviamo in quello stesso periodo storico.
Mi
divertiva leggere e scoprire quanto fossero ridicole le persone in
passato, con improvvisi momenti di panico per capelli e barba lunghi,
gioielli, streghe, diavolo, profezie e stregonerie, malattie e cure,
ipotesi sulla terra, tulipani, praticamente qualsiasi cosa. In un numero
sorprendente di casi che descrive, la malattia era considerata prova di
una forza maligna all'opera.
Una
volta che la paura raggiunge una certa soglia, la normalità, la
razionalità, la moralità e la decenza svaniscono e vengono sostituite da
stupidità e crudeltà.
Nel
leggere la storia delle nazioni, scopriamo che, come gli individui, i
quali hanno i loro capricci e le loro peculiarità, i loro momenti di
eccitazione ed incoscienza, anche intere comunità improvvisamente si
fissano su un oggetto e impazziscono nella sua ricerca; milioni di
persone rimangono simultaneamente colpite da un'illusione, e la
inseguono, fino a quando la loro attenzione viene catturata da una nuova
follia più accattivante della prima.
Vediamo
una nazione, dai suoi membri più alti a quelli più bassi, che
improvvisamente viene catturata da un feroce desiderio di gloria
militare; un'altra che improvvisamente impazzisce per uno scrupolo
religioso; e nessuna delle due rinsavisce fino a quando non vengono
versati fiumi di sangue e seminati gemiti e lacrime affinché poi siano
raccolti dai suoi posteri [...].
Gli uomini pensano come mandrie; si vedrà che impazziranno in gruppo, mentre rinsaviranno solo lentamente, e uno alla volta.
Dopo
il 2005, quando Internet divenne un archivio serio per la conoscenza
umana e divenne accessibile quasi a tutti, anch'io fui tentato dall'idea
che saremmo entrati in una nuova era di illuminazione in cui le
frenesie di massa sarebbero state rapidamente smorzate da una saggezza
di massa.
Potete verificare le prove della mia ingenuità con il mio articolo del 5 aprile 2020: With Knowledge Comes Calm, Rationality, and, Possibly, Openness.
Pensavo che l'evidenza dell'impatto estremamente discriminatorio del
virus su oltre 70 persone con comorbidità avrebbe causato un'improvvisa
consapevolezza: questo virus si stava comportando come un normale virus.
Non saremmo tutti morti, avremmo usato la razionalità e ne saremmo
usciti. Ricordo di aver scritto che i media avrebbero riportato il nuovo
studio e il panico sarebbe finito.
Ho sbagliato, insieme alla
mia sensazione che tutta questa roba si sarebbe fermata il lunedì
successivo. Lo psichiatra che ho incontrato a New York aveva ragione: la
droga della paura aveva già invaso l'opinione pubblica. Una volta
assunta, ci vuole molto tempo per riprendersi. Tale condizione è
peggiorata dalla politica, che non ha fatto altro che alimentarla la
paura. Questa è la malattia più politicizzata della storia.
Durante
questa dura prova abbiamo appreso che, nonostante la nostra tecnologia,
le nostre conoscenze, la nostra storia di prosperità e pace, non siamo
più intelligenti dei nostri antenati e, per certi aspetti, non
intelligenti quanto i nostri genitori e nonni. L'esperienza del COVID ha
causato un'inversione di massa: un ritorno alle superstizioni e al
panico, i quali hanno sporadicamente definito l'esperienza umana nei
secoli passati.
Alla fine le persone rinsaviranno, ma come
scrisse Mackay: le persone "impazziscono in gruppo, mentre si
riprenderanno solo lentamente, e una alla volta".
Piangere fa bene.
E’ un modo per far uscire le nostre emozioni, per liberarci da pesi
portati da troppo tempo, per contattare la nostra interiorità.
Viviamo però in un mondo che considera il pianto una reazione di debolezza,
da eliminare, trattenere, rifiutare. Già da molto piccoli veniamo
educati a non piangere oppure a smettere il prima possibile. Ma così
facendo mettiamo un freno allo scorrere delle nostre emozioni ed esse,
non scorrendo, si accumulano e creano blocchi emotivi difficili da
sciogliere.
Non bisogna aver paura di piangere. Non bisogna frenare le lacrime quando vogliono uscire. Un uomo deve saper piangere.
(Sandro Pertini)
Perché piangere fa bene?
Si diche che le lacrime hanno il potere
di lavare la nostra anima, di crearle spazio, di pulirla, di purificarla
da emozioni trattenute troppo a lungo. Il pianto è un’emozione resa visibile. Vedere qualcuno che piange è un vero onore perché si sta ammirando la sua interiorità.
Ogni volta che i nostri occhi che si
riempiono di lacrime vuol dire che un nostro nodo interiore si è
sciolto. Ecco perché fa bene piangere: perché ricontattiamo la parte di noi più profonda e le permettiamo di agire indisturbata, senza l’interferenza della nostra mente.
Riuscire a collegarci con le nostre emozioni diviene così la forza di ogni uomo.
Egli mediante il pianto dimostra di non avere paura dei propri
sentimenti, di riconoscerli e di lasciarli agire per poter compiere la
loro missione che altro non è che scorrere e passare.
Piangere fa bene.
Diciamolo ai bambini, a chi sta vivendo una difficoltà, a chi è in
lutto, a chiunque vuole farlo per mille ragioni o anche per nessuna. Le lacrime hanno il potere terapeutico di svuotarci,
di farci rimanere nel nulla, di spazzare via ogni distrazione. E grazie
a questo processo riusciamo finalmente a vedere cosa è bene per noi.
Gli occhi che piangono di più sono anche quelli che vedono meglio.
(Victor Hugo)
Non siamo più capaci di piangere
L’acqua salata che sgorga dai nostri occhi è un’acqua sacra che nasce dal nostro cuore e si manifesta nel mondo. Ogni goccia delle nostre lacrime è una storia narrata che non si può spiegare a parole.
E dato che facciamo molta fatica a rimanere nel vuoto, nell’assenza di parole e nel dolore facciamo anche molta fatica a piangere.
In molti si sforzano di farlo perché comprendono il potere liberatorio
delle lacrime, ma non ci riescono. Questo è dovuto principalmente al
fatto che siamo una società bloccata emotivamente e
trattenendo per tanto tempo la nostra interiorità rischiamo di far agire
il nostro corpo mediante violenze, impulsi aggressivi, parole che
feriscono come lame di un coltello.
Troviamo difficoltà a piangere ma anche a ridere e quando ci riusciamo sia il pianto che la risata appaiono trattenuti, minimi, composti. Abbiamo paura di mostrare la nostra interiorità,
ci sentiamo deboli, ci vergogniamo sia a piangere che a ridere in modo
non controllato. Ma è proprio nell’uscita naturale senza freni delle
nostre emozioni che riusciamo a sentire una vera e propria liberazione interiore.
Il pianto ci fa tornare bambini, ci catapulta nel mondo della fragilità, ci fa sperimentare la potenza dello lasciarsi andare. Piangere è un appuntamento con se stessi importante e arricchente.
Non ci lasciamo mai andare a piangere con tutta la
disperazione che vorremmo. Forse abbiamo paura di annegare nelle lacrime
e che non ci sia nessuno a trarci in salvo.
(Erica Jong)
Piangere fa bene ma se si piange troppo?
C’è chi non fa nessuna fatica a
lasciarsi andare al pianto e pensa che dovrebbe invece trattenersi
trattenere maggiormente, piangere di meno, essere meno sensibile.
In momenti di crisi della nostra vita
tendiamo ad avere le difese abbassate e a piangere con maggiore
frequenza. Questo significa solo che siamo in contatto costante con la nostra interiorità. Prendere
consapevolezza di ciò è importante per non sentirsi inadeguati. E’ bene
ringraziare il pianto che è venuto a noi e lasciarlo scorrere senza
ostacolarlo. La nostra anima si sta pulendo, le nostre emozioni
scorrono, il nostro corpo si fa portavoce del nostro cuore.
Quando il dolore non trova sfogo nelle lacrime, gli altri organi piangono
(Henry Maudsley)
Anche il nostro carattere incide sul pianto.
C’è chi non piange mai e chi invece si abbandona alle lacrime in
tantissime situazioni. None esiste una risposta più giusta dell’altra: siamo diversi ed ogni risposta alla vita è e dev’essere diversa.
Piangere insieme è una festa delle anime
Piangere da soli è uno sfogo che ci
aiuta a svuotare cuore, mente e corpo. Ma piangere insieme ad altri è
una vera e propria festa delle anime. Ci si parla senza le parole, si è
uniti più che mai, si comunica con lo sguardo, gli abbracci contengono
come coppe tutte le lacrime versate.
Piangendo insieme cadono tutte le
difese, ci si trova vicini nello spirito, ci si comprende. E’ un
incontro tra persone vero, autentico, libero da maschere e intriso di
emozione che scorre.
Chi partecipa al tuo piacere ma non al tuo dolore
perde la chiave di una delle sette porte
del paradiso.
Puoi dimenticare la persona con cui hai riso,
mai quella con cui hai pianto.
(Khalil Gibran)
Ricordiamoci allora che piangere fa bene
e che ogni lacrima versata è la goccia dell’oceano della nostra
interiorità che vuole solcare le nostre guance per accarezzarci e
donarci sollievo, trasformazione, amore.
Stare
soli quando non è una scelta può essere un pesante fardello da portare,
soprattutto in questo periodo di isolamento e distanziamento sociale
durante il quale siamo separati dai nostri famigliari e dai nostri
amici più cari, senza sapere quando ci potremo rivedere di nuovo, con
genuina spensieratezza. In queste condizioni, la solitudine può lasciare
un’impronta non indifferente sul nostro stato d’animo in quanto viene
vissuta come un’imposizione, un’ ingiustizia.
La privazione prolungata di un contatto essenziale con l’altro può portare ad un deterioramento della qualità della vita
soprattutto quando si ha un temperamento estroverso, portato alla vita
sociale. Pensiamo per esempio ai giovani che si sentono smarriti in
questo clima incerto, senza poter contare sul supporto reale e non virtuale dei propri pari.
Quando la solitudine non deriva da una
scelta consapevole ed è invece imposta per varie ragioni è difficile
pensare che possa avere un aspetto positivo, ma se non riusciamo a
vederlo, possiamo crearlo.
Stare da solo e sentirsi solo: le due facce della solitudine
Riuscire a stare da soli non è
semplice per molti che vivono questa condizione di isolamento e/o
distanziamento sociale con grande tristezza e frustrazione, mentre per
altri questo ritiro dal mondo sembra essersi trasformato in un’oasi in
grado di regalare maggiore calma e serenità.
La solitudine sembra quindi avere due volti
in questo periodo di pandemia. Ovviamente, ogni caso è a sé e molto
dipende dal temperamento di ognuno: estroverso o introverso, e a quanto
riesce a stare bene con se stesso. In realtà, la sensazione di
solitudine può giungere anche quando si ha una florida vita sociale:
sarà capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di sentirsi soli in
mezzo alla folla per cui possiamo dire che la solitudine è uno stato d’animo e proprio per questa sua natura va legittimata e riconosciuta.
Se proviamo solitudine, possiamo
accogliere il nostro sentire senza giudicarlo e permettergli di
occupare spazio nella nostra vita, anche se si tratta di un ospite
sgradito perché non basterà girare lo sguardo da un altra parte
per farlo sparire. Quel disagio, quel malessere, rimarrà lì fino a
quando avremo imparato a “conversare” con lui.
È questa apertura al dialogo col proprio malessere interiore che può rendere la solitudine trasformativa,
in quanto ci può aiutare ad avere un maggiore contatto con noi stessi,
con le nostre emozioni, con le nostre percezioni. A difetto di avere un
maggiore contatto con l’esterno, ci si ritrova a fare la conoscenza di
se stessi, ad ascoltarci, ad abitarci: in poche parole, ad entrare in contatto con la nostra individualità più profonda.
In questo caso, questo stare da soli potrà paradossalmente aiutarci a non sentirci soli,
perché avremo imparato a sentirci bene con noi stessi e non proveremo
più quella terribile sensazione di sentirci isolati anche se viviamo in
compagnia. Il distacco dal mondo dell’esteriorità, con tutte le sue
regole ed imposizioni sociali che possono discostarsi molto da ciò che
risuona con la nostra personalità, può aiutarci a capire meglio cosa vogliamo nella vita, cosa risuona con ciò che siamo e comprendere cosa invece ci fa violenza.
Trasformare la solitudine in opportunità
Quando si parla di solitudine si ha tendenza a percepire il silenzio e la noia come dei pesi da sopportare quando in realtà possono essere dei validi alleati nei momenti in cui dobbiamo ritirarci per un po’ dal mondo.
L’effetto collaterale della noia: la creatività
Alcune persone preferirebbero
auto-somministrarsi delle piccole scosse elettriche piuttosto di
annoiarsi per 15 minuti di fila: è ciò che è emerso da uno studio pubblicato da un team di psicologi dell’Università della Virginia, intitolato Just think: the challenges of the disengaged mind.
Annoiarsi di certo non è una delle (in-)
attività preferite del genere umano, ma se fossimo in grado di
accogliere la noia ogni tanto, senza sentire l’imperiosa necessità di
fuggire da essa, potremmo cogliere i suoi doni inaspettati.
La noia provoca in noi un tale
senso di insoddisfazione, di frustrazione da spingerci a non darci pace
nel cercare uno stimolo pur di dare un termine a quella sensazione di
sconforto che ci opprime quando ci sentiamo isolati. Maggiore
sarà la frustrazione e più grande sarà la ricerca di una “scappatoia” in
grado di strapparci dalle grinfie della noia ma è proprio quando si sprofonda in questa condizione di insofferenza che si attiva in noi una capacità preziosa: la creatività.
Il silenzio ci invita alla consapevolezza
La solitudine ci permette di prendere le distanze dai rumori del mondo esterno e riscoprire il meraviglioso potere del silenzio.
Certo, non sentire più il continuo vociare della gente o ancora i
rumori assordanti legati alla sfera lavorativa può avere un certo
effetto rigenerante; pensiamo alle cassiere che sentono ogni 3 secondi,
per 8 ore di fila, il fastidioso “bip” della scansione del codice a
barre, oppure al rumore assordante dei motori e vari macchinari nella
fabbriche. Ma oltre al silenzio esterno, ciò che la solitudine può portarci è il silenzio interno: il silenzio dei pensieri.
Il silenzio dei pensieri, praticato attraverso la Mindfulness o altre pratiche meditative, può aiutarci a sviluppare una maggiore consapevolezza del momento presente così da uscire dal circolo vizioso dei pensieri giudicanti. Il silenzio dei pensieri è anche un valido alleato nell’allenarci alla pazienza, al lasciare andare, al non-attaccamento e al non-giudizio.
La solitudine ci aiuta quindi a ritrovare la nostra autenticità. Può anche essere un atto di ribellione al rumore mentale, alla confusione collettiva, alle imposizioni sociali, alla fuga da se stessi. La solitudine può essere lo spazio in cui incontrarci davveroe fare la nostra conoscenza, senza fretta, senza giudizio, con gentilezza, così da non sentirsi più soli, nemmeno quando un domani staremo di nuovo tutti assieme.
“Quando si evita a ogni costo di
ritrovarsi soli, si rinuncia all’opportunità di provare la solitudine:
quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee,
meditare, riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza
alla comunicazione.”
(Zygmunt Bauman)
Di: Giorgio Cattaneo
Qualcosa è cambiato, dopo un anno di bugie e sofferenze? Sembrerebbe di sì: persino il massimo portavoce degli spaventapasseri-Covid, cioè il catastrofico Roberto Speranza, ha stranamente annunciato l’imminente uscita graduale dal tunnel, nel corso della primavera, in vista di un’estate finalmente quasi normale. Facile la spiegazione di comodo offerta dal ministro-carceriere: i vaccini garantiranno l’immunità di massa, dopo che i lockdown hanno limitato i danni. Falsità visibili dalla Luna: l’Italia delle zone rosse ha collezionato centomila morti (dichiarati, almeno). E gli attuali non-vaccini (cioè i preparati genici che inseguono le varianti del coronavirus) non riusciranno mai – secondo autorevoli infettivologi come Pietro Luigi Garavelli, primario a Novara – a proteggere davvero la popolazione, perché il virus (mutante) sarà sempre più veloce di loro. Come se ne esce? Lo spiegano i medici che guariscono i pazienti: le cure precoci, prescritte ai primi sintomi, molto spesso permettono di curarsi da casa, evitando il ricovero.
Così si sgonfiano i numeri dell’emergenza: ci crede il Piemonte, prima Regione italiana ad adottare il protocollo-base che il ministero della sanità si è finora rifiutato di fornire ai medici di famiglia. Niente più panico, dunque. I primi a raccomandare l’opposto della linea adottata dai governi occidentali erano stati i luminari che un anno fa sottoscrissero la Dichiarazione di Great Barrington, negli Usa: bisogna lasciarlo correre, il virus, per raggiungere in fretta l’immunità di gregge, stando pronti a usare i farmaci giusti per curare (a casa, presto e bene) chi si ammala. I vaccini? Non indispensabili. Parola dei maggiori epidemiologi del mondo, quelli che per primi affrontarono l’Ebola. Unica accortezza: proteggere anziani e malati, tenendoli isolati (loro sì), ma evitando assolutamente i lockdown e ogni forma di distanziamento, pena il trascinarsi del Covid per anni. Recenti studi pubblicati da “Science” e “Nature” lo confermano: se ci si contagia a milioni, il Sars-Cov-2 diventa progressivamente innocuo, come un banale raffreddore.
Se è così, perché mai abbiamo sbagliato tutto – distanziando, chiudendo, ospedalizzando – per un anno intero? «Non è stato affatto un errore, ma una scelta deliberata». Lo sostiene Nicola Bizzi, storico ed editore di Aurola Boreale, co-autore del saggio “Operazione Corona, colpo di Stato globale”. Nella trasmissione web-streaming “L’orizzonte degli eventi“, condotta sul canale YouTube di “Border Nights” insieme a Tom Bosco e Matt Martini, Bizzi sintetizza: l’anonimo “sequestro” del pianeta, in virtù di una semplice sindrome influenzale (sia pure pericolosa, se non curata tempestivamente) faceva parte di un piano preciso, coltivato da élite oscure. L’altra notizia è che questo piano mostruoso è tecnicamente fallito: già a novembre, dice Bizzi, i “golpisti” hanno trattato la resa, accettando un esito diverso: la “pandemia” sarebbe terminata a fine aprile. Ultima concessione, il lauto business dei vaccini. Poi, la ritirata: cioè l’annuncio che il virus sarebbe stato sconfitto. «L’alternativa sarebbe stata un Processo di Norimberga, per crimini contro l’umanità».
In altre parole: sbrigatevi a vendere i vostri inutili vaccini, ancora per qualche mese, e poi toglietevi di torno. Credibile? Per Bizzi, assolutamente sì: «Fate caso ai segnali che provengono dal mondo che conta, quello della finanza: stranamente, da settimane, le agenzie di rating prevedono la fine della pandemia entro aprile e il grande rilancio di settori come il turismo e l’immobiliare». Eppure, per i media, siamo ancora alle prese con il peggio. «Appunto: i media si adegueranno rapidamente». Non potendo ammettere che i numeri dell’emergenza erano gonfiati, oltre che propiziati dal pazzesco rifiuto di curare i pazienti in modo tempestivo, a casa, ora parleranno dell’effetto miracoloso dei vaccini. «Una recita, ampiamente prevista e concordata coi vincitori». Chi sono? «Una parte dell’élite mondiale, che non ha mai approvato il Grande Reset disegnato a Davos, il progetto di schiavizzazione dell’umanità». Nomi? Uno, enorme: «I Rothschild: hanno contrastato la cordata di Bill Gates e Fauci, della Cina, dell’Oms. Evidentemente, quel tipo di Great Reset disturbava i loro interessi».
Non solo: Bizzi – che vanta importanti relazioni col mondo dell’intelligence – parla di una storica “guerra” all’interno della stessa, potente massoneria sovranazionale: una fazione importante si sarebbe opposta con ogni mezzo al “totalitarismo sanitario”, che secondo i “falchi” «doveva durare fino a tutto il 2023, cancellando per sempre diritti, libertà e democrazia». Se quel piano è fallito – sottolinea Bizzi – lo dobbiamo in gran parte alla Russia di Vladimir Putin: «Col suo vaccino Sputnik, che è sostanzialmente un antinfluenzale, si è portata dietro tre quarti del mondo, dall’India al Sudamerica». Abile, Putin: «Ha usato la Bielorussia come apripista. Ricordate? Il presidente Lukashenko – immediatamente aggredito con la solita “rivoluzione colorata” finanziata da Soros – denunciò il tentativo di corruzione da parte di Oms e Fmi: avrebbero coperto di soldi la Bielorussia, se avesse accettato di attuare il lockdown “come l’Italia”. Una denuncia che non è rimasta inascoltata».
Putin, il presidente che Joe Biden ha appena definito «un assassino», ha messo fine per primo allo stato d’emergenza, abolendo ogni forma di distanziamento: «La scorsa settimana ha celebrato a furor di popolo la riunificazione con la Crimea: nel più grande stadio di Mosca c’erano duecentomila persone strette l’una all’altra, mano nella mano, e senza mascherina». Messaggi eloquenti, in mondovisione: «E’ il segnale: l’incubo ha le settimane contate, ormai, anche in Occidente, cioè l’area del mondo che – attenzione – resta di gran lunga la più colpita, sia in termini sanitari che in termini economici: e non credo proprio sia un caso». Alla luce del Bizzi-pensiero, le traduzioni nostrane sembrano più agevoli: Mario Draghi, che ha adottato la sottigliezza del soft-power, ha pubblicamente elogiato lo stesso Speranza (la maschera del rigore) irritando moltissimi italiani, ormai insofferenti di fronte al “regime” sanitario delle restrizioni. Ma ecco che, in capo a pochi giorni, proprio Speranza comincia a intonare la nuova canzone (”ne usciremo presto”) che, secondo Bizzi, era stata concordata già a novembre, nelle segrete stanze del grande potere: quello che poi, a cascata, spiega anche ai Roberto Speranza cosa dire, e quando.
https://ununiverso.blog/2021/03/23/bizzi-la-farsa-covid-e-finita-grazie-a-putin-e-ai-rothshild/