Volendo
viaggiare nello spazio alla scoperta di nuovi mondi bisogna
necessariamente avere tempo. Le distanze sono troppo grandi per riuscire
a essere percorse in una sola vita. Così, sebbene l’universo sia enorme
e le cose da vedere siano tantissime, ci ritroviamo confinati su un
piccolo puntino blu e destinati ad andare poco oltre, limitati dalla
nostra lentezza. Scorciatoie per andare da un punto all’altro
nell’universo non ne sono ancora state trovate, sebbene siano state
ipotizzate e siano normalmente usate nella fantascienza.
Andare
a una velocità superiore a quella della luce sembra impossibile, perché
a oggi la ricerca sul trasporto superluminale basata sulla teoria della
relatività generale di Einstein sembra richiedere enormi quantità di
particelle ipotetiche e stati della materia con proprietà fisiche
esotiche, come densità di energia negativa… ma questo tipo di materia
non si trova ...
Una nuova ricerca – condotta presso l’Università di Göttingen
e pubblicata questa settimana sulla rivista Classical and Quantum
Gravity – propone ora di aggirare questo problema costruendo una nuova
classe di solitoni
iperveloci utilizzando sorgenti con energia positiva, che potrebbero
consentire di viaggiare a qualsiasi velocità. Ovviamente la ricerca ha
riacceso il dibattito sulla possibilità di viaggiare più veloci della
luce sulla base della fisica convenzionale.
Se ci pensate, una sorta di “moto” superluminale non è poi così fuori dalla realtà, anche rimanendo nell’ambito del modello cosmologico standard. Basti pensare alla velocità di recessione delle galassie, dovuta all’espansione cosmologica: anche in questo caso c’è una modifica dello spaziotempo che si trascina dietro degli oggetti fisici.
L’autore dell’articolo, Erik Lentz, ha analizzato gli studi esistenti scoprendo alcune lacune sulla propulsione a curvatura, in inglese warp drive. Lentz ha notato che esistevano configurazioni di curvatura dello spaziotempo ancora da esplorare, organizzate in solitoni, che potenzialmente potrebbero risolvere il problema, essendo fisicamente praticabili.
Il fenomeno dei solitoni fu descritto per la prima volta da John Scott Russell, che osservò un’onda solitaria risalire la corrente nell’Union Canal per chilometri senza perdere energia. Tra i primi a scoprire la presenza di solitoni nell’oceano fu Alfred Richard Osborne nel 1980 nel Mare delle Andamane e successivamente furono scoperti in altri mari. Evidenze di solitoni furono scoperte anche nel cosiddetto sistema Fermi-Pasta-Ulam. Insomma, i solitoni esistono.
Un solitone – in questo contesto anche chiamato informalmente bolla di curvatura – è un’onda compatta che mantiene la sua forma e si muove a velocità costante. Quello che Lentz ha fatto è stato derivare le equazioni di Einstein per configurazioni di solitoni finora inesplorate (dove le componenti del vettore di spostamento della metrica dello spaziotempo obbediscono a una relazione iperbolica), trovando che geometrie spazio-temporali alterate si potrebbero formare anche con sorgenti di energia convenzionali. In sostanza, il nuovo metodo utilizza la struttura stessa dello spaziotempo in un solitone per proporre una soluzione ai viaggi superluminali che – a differenza di altre ricerche – avrebbero bisogno solo di sorgenti di energia positiva.
Se ci pensate, una sorta di “moto” superluminale non è poi così fuori dalla realtà, anche rimanendo nell’ambito del modello cosmologico standard. Basti pensare alla velocità di recessione delle galassie, dovuta all’espansione cosmologica: anche in questo caso c’è una modifica dello spaziotempo che si trascina dietro degli oggetti fisici.
L’autore dell’articolo, Erik Lentz, ha analizzato gli studi esistenti scoprendo alcune lacune sulla propulsione a curvatura, in inglese warp drive. Lentz ha notato che esistevano configurazioni di curvatura dello spaziotempo ancora da esplorare, organizzate in solitoni, che potenzialmente potrebbero risolvere il problema, essendo fisicamente praticabili.
Il fenomeno dei solitoni fu descritto per la prima volta da John Scott Russell, che osservò un’onda solitaria risalire la corrente nell’Union Canal per chilometri senza perdere energia. Tra i primi a scoprire la presenza di solitoni nell’oceano fu Alfred Richard Osborne nel 1980 nel Mare delle Andamane e successivamente furono scoperti in altri mari. Evidenze di solitoni furono scoperte anche nel cosiddetto sistema Fermi-Pasta-Ulam. Insomma, i solitoni esistono.
Un solitone – in questo contesto anche chiamato informalmente bolla di curvatura – è un’onda compatta che mantiene la sua forma e si muove a velocità costante. Quello che Lentz ha fatto è stato derivare le equazioni di Einstein per configurazioni di solitoni finora inesplorate (dove le componenti del vettore di spostamento della metrica dello spaziotempo obbediscono a una relazione iperbolica), trovando che geometrie spazio-temporali alterate si potrebbero formare anche con sorgenti di energia convenzionali. In sostanza, il nuovo metodo utilizza la struttura stessa dello spaziotempo in un solitone per proporre una soluzione ai viaggi superluminali che – a differenza di altre ricerche – avrebbero bisogno solo di sorgenti di energia positiva.
Se si potesse generare energia sufficiente, le equazioni utilizzate in questa ricerca consentirebbero di viaggiare nello spazio fino a Proxima Centauri, la stella a noi più vicina, e di tornare sulla Terra in “anni” invece che decenni o millenni. Ciò significa che un individuo potrebbe fare andata e ritorno nell’arco della sua vita. In confronto, l’attuale tecnologia missilistica impiegherebbe più di 50mila anni per un viaggio di sola andata.
Inoltre, in un solitone le forze mareali sarebbero minime, per cui il passare del tempo all’interno del solitone corrisponderebbe al tempo all’esterno. Ciò significa che in questi viaggi non ci sarebbero le complicazioni del cosiddetto paradosso dei gemelli – il fenomeno per cui un gemello che viaggia alla velocità della luce invecchierebbe molto più lentamente dell’altro che è rimasto sulla Terra. Secondo le equazioni di Lentz, entrambi i gemelli – ritrovandosi – avrebbero la stessa età.
Il
prossimo passo è capire come ridurre la quantità di energia necessaria
in modo tale che rientri nella gamma delle tecnologie odierne, come una
grande e moderna centrale nucleare a fissione. Poi potremo parlare della
costruzione dei primi prototipi», dice Lentz.
Attualmente, la quantità di energia richiesta per questo nuovo tipo di propulsione spaziale è ancora immensa.
«L’energia
richiesta per un veicolo spaziale di 100 metri di raggio che viaggia
alla velocità della luce è dell’ordine di quella corrispondente a
centinaia di volte la massa di Giove. Il risparmio energetico dovrebbe
essere drastico, di circa 30 ordini di grandezza, per rientrare nella
gamma dei moderni reattori nucleari a fissione», spiega Lentz.
«Fortunatamente, in una precedente ricerca sono stati proposti diversi
meccanismi di risparmio energetico che possono potenzialmente ridurre
l’energia richiesta di quasi 60 ordini di grandezza». Lentz ora sta
cercando di capire se questi metodi possono essere modificati o se sono
necessari nuovi meccanismi per ridurre l’energia richiesta di un fattore
tale da rendere la sua idea attualmente possibile.
«Lo studio in oggetto è molto intrigante», dice a Media Inaf Luigi Foschini, ricercatore dell’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Brera e autore di diverse pubblicazioni tra cui La fisica del tempo e Singolarità spaziotemporali, al quale ci siamo rivolti per un commento. «Le soluzioni per viaggiare a velocità maggiori di quelle della luce proposte sino a oggi richiedevano sempre energie negative prodotte da materia esotica, ovvero da cose che non esistono.
«Lo studio in oggetto è molto intrigante», dice a Media Inaf Luigi Foschini, ricercatore dell’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Brera e autore di diverse pubblicazioni tra cui La fisica del tempo e Singolarità spaziotemporali, al quale ci siamo rivolti per un commento. «Le soluzioni per viaggiare a velocità maggiori di quelle della luce proposte sino a oggi richiedevano sempre energie negative prodotte da materia esotica, ovvero da cose che non esistono.
Lentz è partito da un’idea di Miguel Alcubierre
pubblicata nel 1994, che appunto aveva impiegato materia esotica per
creare una bolla spaziotemporale che si trascinasse con sé un’astronave a
velocità relativistiche, e ha trovato il modo di eliminare la richiesta
di energia negativa. L’energia richiesta per deformare lo spaziotempo è
comunque spaventosa, dell’ordine dell’energia che si otterrebbe
convertendo tutta la massa del Sole. Ma l’idea di per sé è decisamente
interessante e merita ulteriori approfondimenti».
Per saperne di più:
Leggi su Classical and Quantum Gravity l’articolo “Breaking the Warp Barrier: Hyper-Fast Solitons in Einstein-Maxwell-Plasma Theory” di Erik W. Lentz
Per saperne di più:
Leggi su Classical and Quantum Gravity l’articolo “Breaking the Warp Barrier: Hyper-Fast Solitons in Einstein-Maxwell-Plasma Theory” di Erik W. Lentz
Fonte: www.media.inaf.it
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