di Fabio Balocco
Prima dei vari Latouche, Bonaiuti, Pallante, e compagnia, c’era Ivan Illich.
Con questo voglio dire, a ragion veduta, che alle basi di quella che possiamo chiamare “filosofia” della decrescita, c’è quel grandissimo personaggio che fu Ivan Illich.
Solo che, se oggi ripensare la modernità e suggerire la decrescita è relativamente facile, ai tempi non sospetti in cui Illich predicava in questo senso occorreva coraggio e illuminazione.
Incredibile, in proposito, una sua affermazione del 1978: “Il
vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici,
banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e
vengono sospese le libertà."
Come i malati, i Paesi diventano casi critici.
Crisi,
parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire “scelta” o
“punto di svolta”, ora sta a significare: “Guidatore dacci dentro!”.
Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale (…)
La
crisi come necessità di accelerare non solo mette più potenza a
disposizione del conducente, e fa stringere ancora di più la cintura di
sicurezza dei passeggeri; ma giustifica anche la rapina dello spazio,
del tempo e delle risorse” ...
Nel notare con
piacere che molto più modestamente anch’io indicai tempo fa che il
termine crisi non doveva essere letto necessariamente con accezione
negativa, è tremendamente attuale l’affermazione di Illich che nei
periodi di crisi (nella attuale accezione) il potere – che la stessa crisi ha creato – ne approfitta per rapinare spazio, tempo, risorse.
Come non vedere nell’affermazione del grande pensatore ciò che sta
attualmente accadendo nel mondo, in cui le banche dettano direttamente
le politiche dei paesi, determinando una sensibile contrazione delle
libertà e dei diritti.
Aggiungerei
solo che oggi per il capitale contrarre libertà e diritti è diventato
sempre più una necessità, dettata da logiche di sopravvivenza del
sistema (caro, vecchio, sessantottino ”sistema”).
Ecco che per produrre
diventano fastidiosi orpelli i diritti dei lavoratori, ecco che le
grandi opere debbono essere realizzate indipendentemente dalla loro
utilità, ecco che i servizi non debbono più essere pubblici ma in mano
privata.
Peccato che tutto questo porti a un rapido degrado dei rapporti
sociali, dell’ambiente, del territorio dove viviamo e non salvi dalla
galoppante povertà ma anzi accentui la forbice fra chi ha e chi non ha.
“Se vogliamo poter dire qualcosa sul
mondo futuro, disegnare i contorni di una società a venire che non sia
iperindustriale, dobbiamo riconoscere l’esistenza di scale e limiti
naturali.
L’equilibrio della vita si dispiega in varie dimensioni:
fragile e complesso, non oltrepassa certi limiti. Esistono delle soglie
che non si possono superare”
- Ivan Illich -
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